La raccolta integrale di quella che viene considerata la più importante scrittrice Asiatico-americana vivente (anche se lei ribadisce da sempre con ironia: «Mi sento piuttosto una casalinga») fa conoscere al pubblico una voce capace di rendere il timore della perdita di identità, le difficoltà di coniugare il fascino dell’occidente con le tradizione e le regole orientali. Esperienze mutate dalla biografia dell’autrice, nata in California da genitori nipponici.
Il tutto con uno stile molto “giapponese”, stringato al massimo, senza fronzoli, con una scrittura pungente.
Diciassette sillabe, Hisaye Yamamoto, Avagliano
L’edizione integrale dei racconti di Hisaye Yamamoto, per la prima volta tradotti in italiano, ci rivela una grande autrice di short story, accostata dalla critica americana a Henry James, Kate Mansfield e Grace Paley. Uno stile fatto di dettagli, che tiene sotto controllo le emozioni fino al punto di rottura, quando la passione esplode e lascia ferite indelebili: e spesso a narrare le storie sono i bambini, osservatori impotenti di un mondo di adulti che all’improvviso li sconvolge. La Yamamoto racconta anche il razzismo strisciante dell’America, a partire dagli anni Quaranta, quando durante la guerra i giapponesi immigrati erano visti come nemici e confinati in campi di internamento. La discriminazione, la perdita dell’identità in un paese che rimane estraneo, la difficoltà dell’integrazione sono il cuore delle storie della Yamamoto, capaci di trasmettere al lettore la dignità, il dolore e la stupenda commozione che li caratterizza.
La scrittura di Yoko Ogawa è ridotta all’essenziale, poche limpide e perfette parole danno luce alle vicende che narra in questi due racconti proposti al pubblico da Adelphi. Due vicende che parlano di affetti, o per meglio dire, di quel che resta quando è la loro mancanza a dominare.
Yoko Ogawa
Una perfetta stanza di ospedale ,
Piccola Biblioteca Adelphi, Adelphi
«Ogni volta che penso a mio fratello, il cuore mi sanguina come una melagrana scoppiata» esordisce la protagonista del racconto che dà il titolo al volume, e per cercare di dimenticarlo del tutto, si immerge «nel ricordo della sua quieta camera di ospedale». Quella stanza, in cui il ragazzo ha trascorso alcuni mesi prima di morire «assurdamente giovane», era un luogo «perfettamente ripulito dalla sporcizia della vita». A poco a poco sorella e fratello si rinchiudono nel mondo a parte della stanza, che pare impermeabile alla corruttibilità della materia organica, e dove regna l’asettica purezza dell’assenza di cibo, dell’assenza di odore. Ed è come se assaporassero la «serenità perfetta che si prova all’inizio di una storia d’amore». Anche nel secondo racconto, Quando la farfalla si sbriciolò, a un mondo «di fuori» (in cui si può soffrire di «mal di gente») si contrappone un mondo «di dentro»: quando è costretta a portare la nonna – «chiusa in una realtà tutta sua» – in un ospizio per vecchi, una «scatola bianca … piena di buone intenzioni» chiamata Nuovo Mondo, la ragazza Nanako si sente «murata viva» nel piccolo appartamento che per anni ha diviso con lei, e comincia a chiedersi quale sia ora il suo, di mondo, e se ci sia una realtà oltre a quella che le sta «crescendo dentro». Yoko Ogawa sembra possedere il segreto di una scrittura che non somiglia a nessun’altra: affilata, liscia, trasparente – ma dotata di un potere devastante. «La pericolosa Ogawa» è stato detto «ha inventato la scrittura-coltello: nel leggere le sue opere si prova un piacere doloroso».
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