Scriveva Klaus Mann: „Non capivo più i tedeschi! Ma non ero forse un tedesco anch’io? Certo lo ero; e non per la lingua soltanto. La cultura tedesca aveva formato la mia visione cosmica, la mia individualità spirituale, o quanto meno l’aveva influenzata in modo decisivo. Una casa paterna come la mia, un’infanzia sotto il segno dei Novalis, Hölderlin, George; come potevo essere estraneo allo spirito tedesco? O forse appunto ci si sentiva troppo parente, troppo intimamente legato al grande e nobile spirito germanico per poter aderire ora alla sua falsificazione, al suo avvilimento; forse si era talmente di casa nella sfera di un germanesimo europeo e universale, che ci si doveva sentire dei senzapatria nel paese in cui il pensiero universale era stato ridotto a un sogno di mondiale assoggettamento“ da La scritta sul muro (1930–1932).
Vi aspettiamo il 5 ottobre in libreria, alle 20,30, per parlare de Il cappellano – Appennino 1944 (Pendragon), in compagnia di Pier Giorgio Ardeni, uno dei due curatori del volume.
i dettagli, qui:
Rispondi