Quando il pensiero torna alla lettura ad alta voce dell’ultima lettera di Camelia ascoltata qui in libreria, provo sempre un brivido fortissimo, una emozione mi prende alla gola. Come è stato possibile un simile orrore, replicato milioni di volte?
“Caro Mario, questa volta devo io scriverti una lettera d’addio, perché non so quando potrò riscriverti e se lo potrò fare ancora. Scusa anche se venerdì non potrò venire, ma chissà dove sarò.”
E’ questa la frase d’impatto con la quale si apre la lettera datata 1 dicembre 1943, scritta all’ amato “Mario” da Camelia Matatia, una giovane ragazza, che al tempo aveva soltanto diciassette anni. Di religione ebraica, visse in prima persona l’istituzione delle leggi razziali in Italia, la deportazione e il conseguente sterminio degli ebrei nei campi di concentramento. La lettera fu scritta nel momento immediatamente precedente l’arresto di Camelia da parte dei fascisti; più tardi la ragazza la gettò dal camion sul quale si trovava in direzione del carcere.
“So di non avere nulla da rimproverarmi” scrive Camelia “ se non di essere nata con un marchio disgraziato. Un marchio che nemmeno la scolorina del tempo potrà mai cancellare. […] I nostri poveri occhi umani hanno una vista breve, limitata nello spazio, ma ancor più nel tempo. Non sappiamo quel che ci aspetta domani, e nemmeno tra cinque minuti.”
Tratto da:
http://www.liceotorricelli.it/documenti/memory/3%20premio.htm
La sua vicenda è narrata ne I VICINI SCOMODI, di ROBERTO MATATIA, LA GIUNTINA editore.

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