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Posts Tagged ‘autori africani’

RICORRENZE. 6 luglio 1967, prende il via la guerra civile in Nigeria, in seguito ai tentativi di secessione del Biafra, popolato in prevalenza dagli Ibo C’è uno splendido libro da parte di una delle voci più interessanti della narrativa africana che ha in sottofondo il conflitto:
 
CHIMAMANDA NGOZI ADICHIE, META’ DI UN SOLE GIALLO, EINAUDI
 
 
Metà di un sole giallo è la storia di molte Afriche: quella sensuale della splendida Olanna, che rinuncia ai privilegi per amare il professore idealista Odenigbo, e quella concreta della sua gemella Kainene, che affronta il mondo con l’arma del sarcasmo; l’Africa superstiziosa di Mama e Amala e quella colta ed emancipata del circolo di Odenigbo, l’Africa naïf del giovane servitore Ugwu e quella archetipica inseguita dall’uomo di Kainene, Richard.
 
Quando entra a servizio dal bizzarro professore di matematica Odenigbo, Ugwu è un ragazzino dei villaggi che non ha mai visto un lavandino. L’acqua, dove vive lui, scorre solo alla fontana pubblica, il cibo si prepara in cucine fumose e affollate e non si conserva in grosse scatole fredde dai ripiani colmi, le notizie passano di bocca in bocca anziché uscire da quel coso prezioso che Padrone chiama radiogrammofono. La geografia, là da lui, ha i confini minuscoli delle terre visitate, e la storia, quelli dei ricordi familiari.
Ma in quei primi anni Sessanta del Novecento, nella fetta di territorio igbo del sudest nigeriano che per breve tempo andrà sotto il nome di Biafra, già si agitano i fermenti secessionisti e di lì a poco la distanza pur siderale fra un salotto borghese di Nsukka e un umile villaggio del bush sarà spazzata via da uno dei conflitti più devastanti che l’Africa ricordi – la Guerra Civile Nigeriana – che, confondendo le demarcazioni sociali ed economiche, inciderà il confine fra la vita e la morte lungo nuove linee etniche. Non conteranno più i beni e i saperi di un tempo, conterà essere hausa e non igbo, avere fattezze che consentano di sfuggire alla persecuzione, trovare cibo a sufficienza per strappare i propri figli al kwashiorkor.
Odenigbo, già campione del rinnovamento, scoprirà allora di non saper reggere il peso del proprio zelo rivoluzionario; la fragilità di Olanna, la «bruna sirena» che lo ama dall’alveo protetto della sua bellezza e del suo inglese impeccabile, si tramuterà al contrario in una forza straordinaria di conservazione degli affetti; la stessa che dimostrerà la sua gemella Kainene, la beffarda, la sfuggente, ancora una volta tradita e delusa, ma capace di sciogliere il suo dolore in quello di un intero popolo, perché «ci sono cose talmente imperdonabili da rendere perdonabile tutto il resto»; e all’uomo che l’ama, Richard, giunto dall’Inghilterra per studiare l’arte di Igbo-Ukwu, il suo esempio servirà da monito e stimolo per interrogarsi sulle responsabilità del colonialismo bianco e sull’onda lunga delle sue conseguenze. Quanto a Ugwu, imparerà a conoscere le cose e, inevitabilmente, a desiderare di non averle mai conosciute. Pur nella frammentazione del punto di vista narrante con cui Adichie restituisce le sfaccettature della vicenda, è al ragazzino dei villaggi che si riconosce la prospettiva più autorevole. Sua è la prima parola, e sua sarà anche l’ultima.
 
Metà di un sole giallo è la storia di molte Afriche: quella sensuale della splendida Olanna, che rinuncia ai privilegi per amare il professore idealista Odenigbo, e quella concreta della sua gemella Kainene, che affronta il mondo con l’arma del sarcasmo; l’Africa superstiziosa di Mama e Amala e quella colta ed emancipata del circolo di Odenigbo, l’Africa naïf del giovane servitore Ugwu e quella archetipica inseguita dall’uomo di Kainene, Richard.
Tutti questi mondi, con il loro bagaglio di felicità e dolore, di generosità e crudeltà, di amore e gelosia, vengono travolti dalla piena della storia quando nel 1967 la proclamazione d’indipendenza dalla Nigeria della Repubblica del Biafra sfocia in una tragica guerra civile.
 
Metà di un sole giallo ha vinto l’Orange Broadband Prize 2007.
 
«Amore e tradimento in un racconto magnifico e spietato».
 
Time magazine
 
«Di solito non associamo la saggezza al neofita, eppure ecco una nuova scrittrice con il talento degli antichi cantastorie».
 
Chinua Achebe
 
Tradotto da Susanna Basso
biafra

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Grande freschezza narrativa per questo esordiente nigeriano, capace di essere incluso tra i finalisti del Man Booker Prize 2015. Davvero, un continente capace di riservare grandi e piacevoli sorprese al mondo letterario! Ancora una volta la storia viene presentata da una angolatura particolare: il fratellino minore di quattro maschi osserva con il suo occhio ingenuo il percorso che lo porterà ad entrare nel mondo degli adulti, un percorso di formazione che lo vedrà confrontarsi con la marcia inarrestabile del fiume del destino, contro cui non potranno opporre resistenza i fratelli pescatori… Sullo sfondo la Nigeria degli anni Novanta.

La nazionale degli scrittori nigeriani è composta anche da Chris Abani, Chimamanda Ngozi Adichie, Sefi Atta, Helon Habila, Helen Oyeyemi, Nnedi Okorafor, Kachi A. Ozumba, Sarah Ladipo Manyika, Lola Shoneyin, Chika Unigwe.

 

Chigozie Obioma, I pescatori, Bompiani

Nigeria, 1996. Quattro fratelli maschi, in scala, dai quindici ai nove anni. Un padre severo trasferito in una città lontana dalla banca per cui lavora. Una madre presa dai due bambini più piccoli e dal suo banco al mercato. Per Ikenna, Boja, Obe e Ben tutto questo vuol dire libertà. La libertà di andare al fiume, pericoloso e proibito, a farsi pescatori di pesci e di occasioni; la libertà di sfidarsi, litigare, misurare i propri limiti. È proprio al fiume che incontrano il pazzo Abulu, un mendicante noto per i suoi vaneggiamenti ridicoli quanto terribili. Ed è su Ikenna, il maggiore, che si abbatte la profezia di Abulu, annunciando un destino spaventoso per tutta la famiglia. I fratelli impareranno presto che quando il male invade la vita è come un fiume grande che ti porta via. Opporsi è inutile; si può solo cercare di raccontare la propria storia con onestà, come fa Ben dando voce anche a chi non c’è più. Il fato, l’infanzia che se ne va, la famiglia: sono i temi dell’esordio di Chigozie Obiorna, un romanzo di formazione sospeso tra il mito e l’epica, ma anche concreto e sporco come un gioco nel fango, una storia su ciò che si perde e ciò che del passato resta per sempre con noi.
Tradotto da Beatrice Masini

 

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Mia Couto

Mia Couto (Photo credit: Wikipedia)

Titolo originale: Jerusalem (il nome dato dal padre al luogo dove si svolge l’azione)

Titolo francese: L’accordeur de silences (la qualità del protagonista..)

Titolo italiano: L’altro lato del mondo

 

Unn rifugio per dimenticare una amara realtà per un padre con i due figli, un servitore, uno zio. Questo sembra essere Jerusalem, luogo post – apocalittico scelto anche come titolo per il romanzo originale.

Al solito, nei romanzi di MIA COUTO, quello che sembra essere non è, a volte diventa viceversa, e il lettore deve essere pronto a percorrere il percorso che l’autore intraprende, a scoprire lentamente quella che può essere la realtà dei fatti,il risveglio di un undicenne che vedrà mutare di molto il mondo in cui ha vissuto. E’ un luogo senza molte cose questa sorta di terra promessa: non ci sono donne, il pianto e la preghiera, senza la lettura e la scrittura, proibite e bandite dal genitore, capace forse solo di amare e di sapere ascoltare i molteplici silenzi che il ragazzino più giovane è in grado di esprimere (è lui l’accordatore di silenzi del titolo francese, che ci pare molto azzeccato).

Ovviamente, in qualche modo, la narrazione farà comunque la sua comparsa in quel microcosmo, e tutto prenderà una diversa piega, come era lecito supporre..

Un altro romanzo pieno di spunti di ogni tipo, riflessione sull’esistenza, sull’importanza nella vita umana del conforto che ci offre la narrazione, la parola scritta..Ancora una volta, una lettura assolutamente stimolante e coinvolgente quella che ci viene proposta da questo autore mozambicano candidato al Premio Nobel, nel personale Olimpo degli autori contemporanei. (ps: qualche editore può gentilmente rendere di nuovo disponibile il suo TERRA SONNAMBULA,  giudicato tra i dodici migliori libri africani del XX Secolo?)

Mia Couto, L’altro lato del mondo, Sellerio

Un ragazzino di undici anni non ha mai visto una donna nella sua vita. Accade allora che la prima volta che ne incontra una la sorpresa è così grande da farlo scoppiare in lacrime. Quel ragazzo ha vissuto per otto anni all’interno di un Parco Safari abbandonato, e conosce solo il padre, il fratello, lo zio e un ex militare, al tempo stesso amico e servitore. Gli è stato detto che sono gli unici sopravvissuti, che non ci sono contatti col mondo, che sono in attesa di un cenno da parte di Dio e che in questo luogo non è ammesso né piangere né pregare. Dopo la morte della moglie, il padre ha deciso di troncare ogni legame e ha scelto di esiliarsi in quel posto remoto e inaccessibile convincendo i familiari che il mondo che li circonda è scomparso. Jesusalém, questo è il nome che gli viene dato, è un luogo apocalittico, un Paradiso alla rovescia, dove l’uomo si è costruito un suo microcosmo per riuscire a dimenticare la realtà che gli ha portato solo dolori, dominata dal caos e dalla violenza. Il fratello maggiore ha dei vaghi ricordi del passato e del mondo esterno, al quale vorrebbe tornare. Per questo mantiene un legame con ciò che si sono lasciati alle spalle e ne fa partecipe il fratello minore, insegnandogli in segreto a leggere e a scrivere. Il bambino subisce il delirio di annientamento del padre e ne diventa complice, ma trova una segreta via di fuga nella scrittura…

Trad Barca V.

 

 

 

 

 

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era già apparso per Morellini, ma una nuova edizione per questo conturbante romanzo ci stava tutto. Esperienza letteraria coinvolgente ed entusiasmante, il cui il lettore deve trovare il giusto ritmo per aderire alla storia di un Congo che sfila in rassegna sotto gli occhi di Pezzi di vetro, nel locale Credito a morte…

 

Alain Mabanckou,

Pezzi di vetro,

66thand2nd edizioni

 

traduzione di Daniele Petruccioli

 

Al Credito a morte passa un’umanità composita, allegra e tragica, accomunata da una spiccata propensione alla bottiglia e dalla voglia di raccontare le proprie miserie e nobiltà. Una ricchezza che andrà perduta se nessuno fisserà su carta la storia di questo bar unico al mondo, aperto ogni giorno ventiquattro ore su ventiquattro grazie alla tenacia di Lumaca testarda, fondatore e padrone del leggendario ritrovo. Il compito viene affidato a Pezzi di vetro, cliente storico del locale, ex insegnante elementare amante del vino e delle belle lettere. Quaderno alla mano, sarà lui a raccogliere le confessioni di habitué e gente di passaggio. C’è quello dei Pampers, che prima di essere spedito dalla moglie nel terribile carcere di Makala amava consolarsi con le prostitute del quartiere Rex; il Tipografo, che ha avuto la malaugurata idea di sposare una francese, fonte di ogni sua disgrazia; Rubinetta e Casimir, che si misurano nella gara per la pisciata più lunga. Ma al centro di tutto rimane lui, Pezzi di vetro, capace con la sua prosa colta e popolare di cogliere le debolezze altrui e smascherare questi personaggi da tre soldi. È così che la letteratura entra nella vita, anche nella più umile, e i libri si trasformano in parola viva, in un linguaggio universale alla portata di ogni uomo.

 

Français : Alain Mabanckou en dédicace au Salo...

Français : Alain Mabanckou en dédicace au Salon du livre de Paris. (Photo credit: Wikipedia)

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“Sotto ogni cosa è in agguato l’ombra”

 

Ci ha lasciato Andrè Brink, geniale autore sudafricano. Morto ottantenne di ritorno da un volo in Belgio, per il conseguimento dell’ennesima laurea Honoris Causa.

 

Impegnato civilmente nei confronti del brutale apartheid che ha incendiato il suo Paese, tradotto in tutto il mondo, amante della sua terra.

 

Ci piace ricordarlo con uno splendido volume (purtroppo fuori catalogo) edito da Instar, sotto l’attenta regia di Gianni Borgo, un grande del settore. Libri fatti a regola d’arte, indimenticabili anche per l’aspetto grafico, un grande esempio.

 

La prima vita di Amastor – o dell’origine del Capo delle Tempeste, Instar libri, 1994

 

“C’era e non c’era una volta”: così comincia la storia di Adamastor, Gigante orrifico e deforme che, per aver sorpreso la candida Ninfa Teti al bagno, fu da Zeus inchiodato per sempre alla frastagliata Penisola del Capo. Questa almeno la versione che noi occidentali siamo soliti tramandare da quando i greci cominciarono a imporre e sovrapporre i loro miti alle lontane terre esotiche. Perché non provare, per una volta soltanto, a mettere da parte le nostre consolanti tradizioni, e affidarci invece alla memoria di chi quelle vicende ha subìto sulla propria pelle e in quei luoghi ha abitato fin dal “tempo prima del tempo”?
E’ quanto André Brink (nato nello Stato Libero d’Orange nel 1935 e dunque d’origine boera, ma da sempre vigile testimone della coscienza nera sudafricana) si è riproposto in questo apologo precoloniale, dove a raccontarci del primo sbarco degli stranieri sul suolo inviolato è T’kama, capotribù degli ottentotti e contemporaneo di Vasco da Gama. A lui, uomo di nobile stirpe e di antica esperienza, tocca non solo lo shock culturale del primo avvistamento di una flotta portoghese, ma anche e soprattutto la specialissima sorpresa dell’incontro con la prima donna bianca: “era più che desiderio. Un bisogno di stare con lei, per sempre, per i giorni e gli anni della calura estiva e del freddo invernale, la terra dure, il fuggifuggi delle mandrie di ‘springbokke’, la polvere, l’argilla, la malattia e la sofferenza e la nascita dei figli, le danze lunari e il ronzio monotono della ‘gorah’, le pianure, le montagne, i cespugli, il giorno e la notte, la vita e la morte.”
Ne segue un’inedita quanto impossibile storia d’amore, ardente e selvaggia come la terra africana che le fa da sfondo; tenera e ingenua come la fantasia di chi al primo apparire delle navi le scambia per enormi uccelli marini; comica e disinibita come ancora sa essere chi vive in comunione animistica con la natura; ma infine tragica e violenta, come fu la colonizziazione del continente.

 

 

 

trad di Pietro Deandrea.

 

prima vita

 

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domani vi scaldiamo il cuore con questo bravissimo autore congoliano (chi ha letto il reportage di ZEROCALCARE su Internazionale sa di cosa parliamo…)

Pezzi di vetro
 Alain Mabanckou
66thand2nd

C’è un bar in Congo che non chiude mai, un crocevia di storie folli, esilaranti, che aspettano solo un vero scrittore per essere salvate dall’oblio. Quest’uomo è “Pezzi di vetro”, un ex professore forse troppo innamorato della bottiglia, che in un quaderno inizia ad annotare tutto quello che vede: la gara per la pisciata più lunga del mondo; la descrizione delle lolite del quartiere Rex; la storia di un guaritore che fa miracoli meglio di tutti, perfino di Cristo. Torna nelle librerie il romanzo che ha dato fama mondiale ad Alain Mabanckou, una narrazione spericolata in perfetto equilibrio tra comicità sfrenata e sofisticati rimandi letterari che sembrano voler abbracciare l’intera storia della letteratura: da Rabelais a Bertold Brecht, da Ousmane Sembene a Salinger e alla Banda degli idioti di John K. Toole.
Uno dei dieci romanzi africani contemporanei più influenti secondo il Guardian, Pezzi di vetro chiama a raccolta i “dannati della terra” dei nostri giorni e gli restituisce una voce che tutto travolge al suo passaggio: le parole, le ipocrisie, le convenzioni, le tradizioni, il politicamente corretto, la moda etnica africana.

Alain Mabanckou nasce nel 1966 nella Repubblica del Congo e trascorre l’infanzia a Pointe-Noire, capitale economica del Paese. Si trasferisce in Francia a ventidue anni per completare gli studi e rimane a Parigi fino al 2002, quando ottiene una cattedra come professore di letterature francofone all’Università del Michigan. Attualmente vive a Los Angeles e insegna alla Ucla, Università della California, dove si è guadagnato il soprannome di «Mabancool» perché è considerato il professore più cool di tutta la California. Scrittore di fama internazionale, Mabanckou ha ricevuto numerosi riconoscimenti per i suoi romanzi, tradotti in quindici lingue, tra cui nel 2006 il premio Renaudot per Memorie di un porcospino. L’autore è stato di recente insignito del titolo di Cavaliere della Legion d’onore per decreto del presidente della Repubblica francese. Pezzi di vetro è il quinto libro dell’autore pubblicato da 66thand2nd. Tradotto in dieci lingue, il romanzo ha avuto diversi adattamenti teatrali e ha vinto numerosi premi, tra cui il Prix Ouest-France/Etonnants Voyageurs, il Prix des Cinq Continents de la Francophonie, il Prix du Livre RFO e il Prix Litteraire Franco- Israelien.

 

Français : Alain Mabanckou en dédicace au Salo...

Français : Alain Mabanckou en dédicace au Salon du livre de Paris. (Photo credit: Wikipedia)

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L’attenzione su CHIMAMANDA NGOZI ADICHIE si è accesa nel mondo letterario dopo la sua vittoria all’ORANGE PRIZE nel 2007, con il volume META’ DI UN SOLE GIALLO, per poi consolidare il suo nome con questo libro, inserito dal NyTimes tra i dieci migliori del 2013. E viene davvero da pensare che la riserva di scrittori della Nigeria sia davvero meritevole di TRIPLA A! Una nazionale che schiera Chris Abani, Teju Cole, Lola Shoneyin, Bijy Bandele,  autori aperti al mondo.

Davvero, un romanzo globale quello di Chimamanda Ngozi Adichie, capace di scavare a fondo nei meccanismi dell’identità sociale tra Stati Uniti, Inghilterra e Africa, anche in questo caso, come nei precedenti, con l’occhio rivolto non ai diseredati, ma ai sentimenti delle classi medio alte della società. Un perfetto romanzo su quanto significhi vivere in un mondo così frammentario, in cui i confini e l’origine continuano però a segnare il destino di un individuo. O forse no?

Il suo stile ha preso una piega diversa, passando dall’oralità più “africana” se ci si passa il termine ad una scrittura più distillata, perfettamente in equilibrio. Il risultato finale di certo non ne risente!

 

CHIMAMANDA NGOZI ADICHIE, AMERICANAH, EINAUDI

TRAD DI Andrea Sirotti

Ifemelu ha una borsa di studio a Princeton ed è l’autrice di «Razzabuglio», un blog di largo seguito che denuncia con pungente leggerezza i pregiudizi ancora diffusi negli Stati Uniti. Ne ha fatta di strada da quando, tredici anni prima, appena arrivata dalla Nigeria, faticava a pagare l’affitto e si sforzava di adeguare accento e aspetto agli standard americani. Eppure c’è qualcosa che Ifemelu non riesce a dimenticare. In fondo al cassetto della memoria conserva ancora il ricordo di Obinze, il ragazzo voluto fin dal primo istante e poi lasciato senza una spiegazione, con un taglio netto frutto della vergogna. Tornare indietro nel tempo è impossibile, ma non nello spazio. Contro il buon senso e il parere di tutti, Ifemelu sale su un aereo per Lagos intenzionata a riprendere il filo di una storia interrotta.

«Un’epopea di piú generazioni capace di divertire, scaldare e commuovere; un’opera che conferma la bravura, la sconfinata empatia e la caustica acutezza sociale di Adichie».

Dave Eggers

***

La distanza tra la Nigeria e gli Stati Uniti è enorme, e non solo in termini di chilometri. Partire alla volta di un mondo nuovo abbandonando la propria vita è difficile, anche se quel mondo ha i tratti di un paradiso, ma per Ifemelu è necessario. Il suo paese è asfittico, l’università in sciopero. E poi, in fondo, sa che ad accoglierla troverà zia Uju e che Obinze, il suo ragazzo dai tempi del liceo, presto la raggiungerà. Arrivata in America, Ifemelu deve imparare un’altra volta a parlare e comportarsi. Diverso è l’accento, ma anche il significato delle parole. Ciò che era normale viene guardato con sospetto. Ciò che era un lusso viene dato per scontato. La nuova realtà, inclemente e fatta di conti da pagare, impone scelte estreme. La frattura con il passato, compresi gli affetti piú cari, è inevitabile. A complicare tutto c’è la questione della pelle. Ifemelu non aveva mai saputo di essere nera: lo scopre negli Stati Uniti, dove la società sembra stratificata in base al colore. L’ostilità verso l’Altro ha tanti modi di esprimersi e passa anche attraverso cose apparentemente futili, come l’imperare di canoni specifici per l’acconciatura. Se le treccine sono bollate come poco professionali, l’afro va domato a litri di lisciante. Esasperata, Ifemelu decide di dare voce al proprio scontento dalle pagine di un blog. I suoi post, acuti e scevri di vittimismo, si conquistano velocemente un folto pubblico di lettori, che cresce e cresce fino ad aprire a Ifemelu imprevisti e fortunati sbocchi sul piano professionale e privato. Ma tra le pieghe del successo e di una relazione con tutte le carte in regola si fa strada un’insoddisfazione strisciante. Ifemelu si sente estranea alla sua stessa vita e, lí dov’è, non riesce ad affondare le radici, pur sapendo che in Nigeria le esperienze accumulate e il nuovo modo di guardare il mondo le guadagnerebbero l’epiteto spregiativo di «Americanah». Eppure il suo paese le manca, e le manca Obinze, ormai sposato e con una figlia. Ancora una volta, con coraggio, riempie la valigia e si prepara a un salto nel buio.

 

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English: Adinsonia Digitata tree, taken on a f...

English: Adinsonia Digitata tree, taken on a farm 200 miles from Bulawayo in Zimbabwe (Photo credit: Wikipedia)

no, non stiamo ripetendo uno slogan di Renzi, tranquilli!

Una voce nuova dall’Africa profonda, una terra ancora vibrante di un assordante e caleidoscopico mix di odori, suoni, colori. Come la pagina che esce dal ritmo di questa narratrice, che si è conquistata un buon posto nei cuori dei lettori e della critica, e che è stata notata anche dalla giuria di alcuni premi internazionali.

 

C’è BISOGNO DI NOMI NUOVI, NoViolet Bulawayo, Bompiani

 

Darling ha solo dieci anni, eppure deve navigare nelle agitate acque del mondo in Zimbabwe. Darling e i suoi amici rubano guava, cercano di tirare fuori un bambino dalla pancia della piccola Chipo, e si aggrappano ai ricordi di Prima. Prima che le loro case venissero distrutte dalla polizia paramilitare, prima che la scuola chiudesse, prima che i loro padri partissero per lavori rischiosi all’estero. Ma Darling ha una possibilità di fuggire: ha una zia in America, così decide di viaggiare verso questa nuova terra in cerca della famosa abbondanza americana, ma solo per scoprire che le sue opzioni come immigrata sono terribilmente ridotte. L’esordio di NoViolet Bulawayo ha sorpreso pubblico e critica, ha fatto subito pensare ai grandi narratori che hanno raccontato l’esilio e le nuove patrie, da Zadie Smith a Monica Ali.

 

 

 

 

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Ancora una volta, Yasmina Khadra ci sorprende. Il suo libro precedente, edito da Mondadori, era secondo noi il suo più brutto, pieno di banalizzazioni e stereotipi. Questa volta invece l’autore ci conduce nuovamente nella sua terra d’origine, l’Algeria, e si riabilita ai nostri occhi…Ci conduce ai primi decenni del Novecento, per raccontarci l’incredibile storia di Turambo, ragazzino dal pugno potente divenuto campione di boxe, per poi ripiombare nella polvere da cui proveniva, e finire nel braccio della morte che conduce alla ghigliottina.

Un romanzo potente, in cui fa da importante sfondo la vita quotidiana nell’Algeria coloniale, ma in cui sono le passioni e le emozioni forti a dominare ogni pagina, quelle della crescita e quelle dell’amore, con un richiamo talmente forte in questo caso da vincere quello della fama e del danaro.

Français : Yasmina Khadra lors du 30ème salon ...

Français : Yasmina Khadra lors du 30ème salon du livre de Paris à la porte de Versailles. (Photo credit: Wikipedia)

Yasmina Khadra,

Gli angeli muoiono delle nostre ferite, Sellerio 

Yasmina Khadra racconta l’educazione sentimentale di un giovane arabo nell’Algeria degli anni Venti e Trenta. In un’epoca di contrasti in cui la povertà e la disuguaglianza preparano i conflitti futuri. Un moderno romanzo popolare, poetico e spietato, che ha entusiasmato i lettori francesi.

Traduzione dal francese di Marina Di Leo

«Mi chiamo Turambo e all’alba verranno a prendermi». Già dalle prime pagine un fatale conto alla rovescia attende il protagonista di questo romanzo. Siamo in Algeria nel 1937, e un ragazzo di 27 anni, arabo e musulmano, è in carcere ad aspettare l’inferno. Nei pensieri e nell’animo di questo giovane intravediamo qual è stata la sua vita, dall’infanzia in una contrada umilissima alla corsa furiosa verso il patibolo. Turambo cresce nell’Algeria coloniale degli anni Venti, e il suo destino sembra condannarlo alla miseria. Ma è bello, forte, passionale, dotato di un raro candore, e attira simpatie immediate. Grazie a questo dono riesce a varcare le porte del mondo francese, abitualmente precluso agli arabi, e il suo potente e veloce gancio sinistro non passa inosservato tra i professionisti del pugilato. Il successo sul ring gli porta fama e denaro, ma come tutti i puri di cuore odia la violenza e sogna l’amore. Nessun trofeo riesce a scaldare la sua anima come lo sguardo di una donna. Da Nora ad Aïda a Irène, ognuna di loro è un passo avanti in una lotta feroce contro il futuro e la sorte. All’inizio è l’amore segreto per la cugina Nora, la prima donna nella sua vita. Poi la scoperta del corpo e dei sensi con Aïda. Fino all’incontro con Irène: una donna libera, fiera e indipendente, che gli fa scoprire come la passione vera possa sbocciare solo se c’è assoluta fiducia e rispetto reciproco. Sospeso come il suo personaggio tra durezza e purezza, il romanzo ritrae con un lirismo che non rimuove la brutale realtà i sogni e le tensioni di un’intera epoca, il coraggio e la rassegnazione dei poveri e degli sconfitti, il peso opprimente della cultura europea, la complessa stratificazione sociale fatta di ebrei, italiani, arabi, gitani, spagnoli, francesi, e soprattutto la condizione femminile in un mondo in cui una donna felice significa sempre e solamente una moglie feconda, fedele, devota. Questo di Khadra è il ritratto di un uomo, di tre donne, di una città, che ha molto da svelare sulle tensioni di un passato che sembra lontano e che proietta la sua ombra sul nostro presente.

Yasmina Khadra, pseudonimo di Mohamed Moulessehoul, è uno scrittore stimato e apprezzato nel mondo intero. Nato in Algeria nel 1955, reclutato alla scuola dei cadetti a nove anni, è stato ufficiale dell’esercito algerino. Dopo aver suscitato la disapprovazione dei superiori con i suoi primi libri, ha continuato usando come pseudonimo il nome della moglie. In Italia si è conquistato un pubblico grazie a due noir, Morituri (1998) e Doppio bianco (1999), editi da e/o. In seguito sono usciti Cosa sognano i lupi? (Feltrinelli, 2001), e poi con Mondadori Le rondini di Kabul (2003), La parte del morto (2005), L’attentatrice (2006, del 2013 è il film di Ziad Doueiri), Le sirene di Baghdad (2007) e Quel che il giorno deve alla notte (2009), miglior libro dell’anno per la rivista letteraria Lire, adattato al cinema nel 2012. Nel 1999 ha lasciato l’esercito svelando così la sua vera identità. Attualmente vive in Francia

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La Nigeria non è solo il Paese di Boko Haram, ma è terra di grandi scrittori: con la regia di Biyi Bandele, arriva sui grandi schermi META’ DI UN SOLE GIALLO, dal libro di Chimamanda Ngozi Adichie (Einaudi – traduzione di Susanna Basso)

 

 

Nella scrittura dell’autrice convivono felicemente le doti della narrazione orale africana insieme a quelle del romanzo moderno, dando vita ad un fortunato ed indimenticabileconnubio. . Con sapienza e bravura l’autrice ricostruisce un grande affresco multicolore della Nigeria degli anni Sessanta, devastata dal disastro del Biafra, facendoci conoscere però anche il lato meno noto di quel Paese, il mondo delle poche persone con una istruzione superiore alla media, alle prese con un mondo che si sgretolava

ecco la scheda del libro.

Metà di un sole giallo è la storia di molte Afriche: quella sensuale della splendida Olanna, che rinuncia ai privilegi per amare il professore idealista Odenigbo, e quella concreta della sua gemella Kainene, che affronta il mondo con l’arma del sarcasmo; l’Africa superstiziosa di Mama e Amala e quella colta ed emancipata del circolo di Odenigbo, l’Africa naïf del giovane servitore Ugwu e quella archetipica inseguita dall’uomo di Kainene, Richard.

 

Quando entra a servizio dal bizzarro professore di matematica Odenigbo, Ugwu è un ragazzino dei villaggi che non ha mai visto un lavandino. L’acqua, dove vive lui, scorre solo alla fontana pubblica, il cibo si prepara in cucine fumose e affollate e non si conserva in grosse scatole fredde dai ripiani colmi, le notizie passano di bocca in bocca anziché uscire da quel coso prezioso che Padrone chiama radiogrammofono. La geografia, là da lui, ha i confini minuscoli delle terre visitate, e la storia, quelli dei ricordi familiari.

Ma in quei primi anni Sessanta del Novecento, nella fetta di territorio igbo del sudest nigeriano che per breve tempo andrà sotto il nome di Biafra, già si agitano i fermenti secessionisti e di lì a poco la distanza pur siderale fra un salotto borghese di Nsukka e un umile villaggio del bush sarà spazzata via da uno dei conflitti più devastanti che l’Africa ricordi – la Guerra Civile Nigeriana – che, confondendo le demarcazioni sociali ed economiche, inciderà il confine fra la vita e la morte lungo nuove linee etniche. Non conteranno più i beni e i saperi di un tempo, conterà essere hausa e non igbo, avere fattezze che consentano di sfuggire alla persecuzione, trovare cibo a sufficienza per strappare i propri figli al kwashiorkor.

Odenigbo, già campione del rinnovamento, scoprirà allora di non saper reggere il peso del proprio zelo rivoluzionario; la fragilità di Olanna, la «bruna sirena» che lo ama dall’alveo protetto della sua bellezza e del suo inglese impeccabile, si tramuterà al contrario in una forza straordinaria di conservazione degli affetti; la stessa che dimostrerà la sua gemella Kainene, la beffarda, la sfuggente, ancora una volta tradita e delusa, ma capace di sciogliere il suo dolore in quello di un intero popolo, perché «ci sono cose talmente imperdonabili da rendere perdonabile tutto il resto»; e all’uomo che l’ama, Richard, giunto dall’Inghilterra per studiare l’arte di Igbo-Ukwu, il suo esempio servirà da monito e stimolo per interrogarsi sulle responsabilità del colonialismo bianco e sull’onda lunga delle sue conseguenze. Quanto a Ugwu, imparerà a conoscere le cose e, inevitabilmente, a desiderare di non averle mai conosciute. Pur nella frammentazione del punto di vista narrante con cui Adichie restituisce le sfaccettature della vicenda, è al ragazzino dei villaggi che si riconosce la prospettiva più autorevole. Sua è la prima parola, e sua sarà anche l’ultima.

 

Metà di un sole giallo è la storia di molte Afriche: quella sensuale della splendida Olanna, che rinuncia ai privilegi per amare il professore idealista Odenigbo, e quella concreta della sua gemella Kainene, che affronta il mondo con l’arma del sarcasmo; l’Africa superstiziosa di Mama e Amala e quella colta ed emancipata del circolo di Odenigbo, l’Africa naïf del giovane servitore Ugwu e quella archetipica inseguita dall’uomo di Kainene, Richard.

Tutti questi mondi, con il loro bagaglio di felicità e dolore, di generosità e crudeltà, di amore e gelosia, vengono travolti dalla piena della storia quando nel 1967 la proclamazione d’indipendenza dalla Nigeria della Repubblica del Biafra sfocia in una tragica guerra civile.

 

Metà di un sole giallo ha vinto l’Orange Broadband Prize 2007.

 

«Amore e tradimento in un racconto magnifico e spietato».

Time magazine

 

«Di solito non associamo la saggezza al neofita, eppure ecco una nuova scrittrice con il talento degli antichi cantastorie».

Chinua Achebe

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