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Posts Tagged ‘autori consigliati’

Nellla Nuova Atlantide scoprirete ghiottissime novità!

Chi frequenta la narrativa per ragazzi la conosce bene: Maria Teresa Andruetto si è meritata il Premio Andersen per la narrativa, il sommo riconoscimento. Eccellente anche questo suo romanzo per i lettori adulti, dedicato alla storia del suo Paese, l’Argentina, alle origini della famiglia da cui proviene. Sarà la lettura di un cospicuo gruppo di lettere a dare il via a questa palpitante ricerca di identità..

MARIA TERESA ANDRUETTO, LINGUA MADRE, BOMPIANI

TRADOTTO DA F.NIOLA

Come i suoi fratelli e tanti altri con loro, anche Stefano è fuggito dall’Italia, dalla fame e dalla miseria, per cercare fortuna in Argentina. La pampa l’ha accolto insieme alle donne della sua vita: moglie, figlia, poi una nipote.
E’ lei, Julieta, che ripercorre la storia della famiglia. Tornata in Sudamerica dopo aver trascorso alcuni anni in Germania con una borsa di studio, esaudisce l’ultimo desiderio di sua madre Julia, da poco scomparsa: leggere le lettere accumulate nel corso degli anni come una sorta di arringa postuma.
Le lettere sono scritte soprattutto dalla nonna e rimandano a un passato doloroso: la fuga di Julia al Sud, il lungo periodo passato nascosta in una cantina per sfuggire alla repressione militare, l’improvviso esilio del compagno, la nascita di Julieta, che dovrà crescere senza di lei, insieme ai nonni. Un esercizio di antropologia epistolare in cui la donna si immerge completamente e che la ricongiungerà con i suoi ricordi d’infanzia, imbevuti di lingua e cultura piemontesi.
Con questo romanzo María Teresa Andruetto dimostra che se si può scrivere ottima letteratura raccontando fatti straordinari sono in pochi a saperlo fare andando oltre, evitando la grandezza della Storia: e lei ci riesce appieno con una prosa intima e poetica.
Titolo originale: ”Lengua madre” (2010).

 

http://www.giunti.it/libri/narrativa/lingua-madre/

 

English: Maria Teresa Andruetto, argentine wri...

English: Maria Teresa Andruetto, argentine writer. Español: Maria Teresa Andruetto, escritora argentina. (Photo credit: Wikipedia)

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Joann Sfar è un incredibile autore di graphic novel, ma non solo. Perchè si cimenta degnamente con il romanzo, la regia cinematografica, e anche con il genere Memoir, in questo caso dedicato al padre, con un linguaggio scoppiettante ed originale, pieno di riferimenti culturali, ne esce un partecipato e commosso ritratto di persona, e dei decenni di storia che ha attraversato.

La scheda del libro, tradotto da Tania Spagnoli

Non tutti hanno avuto la fortuna di avere un padre come quello di Joann Sfar. In questo libro pieno di pudore ma anche carico di sottile ironia, commovente e molto personale, quello che è unanimemente considerato in Francia l’autore più versatile e geniale racconta il suo “kaddish”, la sua preghiera in morte e memoria di un uomo straordinario.

 

 

Nato a Nizza nel 1971, Joann Sfar esplode come autore di fumetti già a 23 anni, e si impone come uno dei più grandi autori con opere come Il gatto del rabbino, Professor Bell e Piccolo Vampiro. È autore anche di romanzi come L’eterno e romanzi illustrati come Se Dio esiste. Nel 2010 ha diretto il film Gainsbourg.Vie héroique, che si è aggiudicato il Prix César come miglior film.

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sì, è molto originale Mariana Enriquez, un vero e proprio nuovo talento. Riesce a far entrare il lettore in una dimensione strana e perturbante, dai contorni neri, a tratti macrabri ma pur sempre plausibile e connesso con la realtà del suo Paese, l’Argentina di fine anni ’80, inizio anni ’90. Con le ombre generate da crisi economiche ricorrenti, dittature e le conseguenze devastanti sulla società, sui protagonisti di questa sfavillante raccolta di racconti.

Bravissima!
Mariana Enriquez, Le cose che abbiamo perso nel fuoco, Marsilio
tradotto da Cremonesi F.
Piccoli capolavori di realismo macabro che mescolano amore e sofferenza, superstizione e apatia, compassione e rimpianto, le storie di Mariana Enriquez prendono forma in una Buenos Aires nerissima e crudele, vengono direttamente dalle cronache dei suoi ghetti e dei quartieri equivoci. Sono storie che emozionano e feriscono, conducendo ¡I lettore in uno scenario all’apparenza familiare che si rivela popolato da creature inquietanti. Vicini che osservano a distanza, gente che sparisce, bambini assassini, donne che s’immolano per protesta. Quello di Mariana Enriquez è un mondo dove la realtà accoglie le componenti più bizzarre e indecifrabili della natura umana, e dove il mistero e la violenza convivono con la poesia. Sullo sfondo di un’Argentina oscura e infestata dai fantasmi, con la sua brillante mescolanza di horror, suspense e ironia, “Le cose che abbiamo perso nel fuoco” ha fatto di Mariana Enriquez la risposta contemporanea a Edgar Allan Poe e Julio Cortázar, la voce più interessante della nuova letteratura sudamericana. Una voce intensa e diretta, che racconta di personaggi brutali e talvolta buffi, trascinando il lettore in una spirale fascinosa e disturbante cui è difficile resistere.

 

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Un genio, Michele Mari, decisamente. In questa nuova godibilissima edizione del suo I demoni e la pasta sfoglia farà rivivere mirabilmente al lettore l’ossessione che ha animato tanti sommi autori, dando loro modo di restare immortali con le pagine generate:
Michele Mari, I demoni e la pasta sfoglia, Il saggiatore
La letteratura è ossessione. È un demone polimorfo che può assumere le bianche fattezze di Moby Dick o l’aspetto mostruoso dei crostacei di Wells, che può abitare tra le nevi di London, sulle aspre montagne della follia di Lovecraft o nel condominio suburbano di Ballard. È nella luna precipitata in un camino di Landolfi, nell’occhio cieco del gatto di Poe, nei topi di Steinbeck. Si insedia tra le ecolalie di Gombrowicz come nello sdegno con cui l’ingegner Gadda oppone titanicamente un principio d’ordine al grottesco, alla vigliaccheria, all’ingiustizia del reale. L’ossessione è destino e forma, nevrosi e scrittura, e scrivere significa «consegnarsi inermi agli artigli dei demoni».
I demoni e la pasta sfoglia è il libro in cui Michele Mari affida alla forma-saggio quel rapporto inquieto e vitale con la tradizione che altrove ha esplorato attraverso il racconto, il romanzo, la poesia. Testi che compongono un’indispensabile cartografia letteraria, seguendo punti di fuga inediti e rintracciando parentele inaspettate: il sadismo di Stephen King e quello di Collodi, la misantropia di Céline e la bibliolatria di Kien in Auto da fé, il riemergere del lupo in Buck nel Richiamo della foresta e la voluttà con cui Gregor Samsa si abbandona alla nuova identità di insetto. E poi gli innumerevoli mostri e le infinite stilizzazioni con cui ogni grande scrittore non fa altro che parlare di se stesso, dei propri desideri e delle proprie ferite.
Accettando sfide spesso eluse della critica, Mari finisce per modellare le sembianze di un nuovo canone, che attinge tanto alla letteratura goticofantastica quanto a forme di scrittura come manierismi e pastiche che, grazie alla loro «natura esibitoria», rivelano la propria paradossale autenticità, il proprio osceno realismo. Ma I demoni e la pasta sfoglia è soprattutto una dichiarazione di poetica in controluce, in cui lo scrittore di Fantasmagonia e Tu, sanguinosa infanzia mostra il suo rapporto vampiresco con una tradizione eletta a dimora, in una dialettica serrata tra mostruosità e stile, morte e scrittura, persistenza dell’infanzia e attrazione per l’abisso.
Michele Mari insegna Letteratura italiana all’Università degli Studi di Milano. Oltre a volumi di saggi ed edizioni di classici ha pubblicato diversi libri di narrativa: Di bestia in bestia, Io venìa pien d’angoscia a rimirarti, La stiva e l’abisso, Euridice aveva un cane, Tu, sanguinosa infanzia, Tutto il ferro della torre Eiffel, Verderame, Rosso Floyd, Fantasmagonia e Roderick Duddle (tutti nel catalogo Einaudi), Filologia dell’anfibio (Laterza) e Rondini sul filo (Mondadori); sue anche le Cento poesie d’amore a Ladyhawke (Einaudi). Ha inoltre firmato Milano fantasma con Velasco Vitali (Edt), Asterusher con Francesco Pernigo (Corraini) e Sogni con Gianfranco Baruchello (Humboldt). Fra le sue traduzioni: L’Isola del Tesoro di Stevenson (Rizzoli), Il richiamo della foresta di London e Uomini e topi di Steinbeck (Bompiani), La Macchina del Tempo di Wells (Einaudi). Collabora alle pagine culturali di Repubblica.

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Poco conosciuto in Itaia, Pablo Feinmann meriterebbe di certo più attenzione considerato quello che ha fatto vedere!

Continua con L’ombra di Heidegger la sua idea di narrativa che parte dalle storie intime e private (in questo caso la lunga lettera di un padre al figlio) per poi arrivare molto in alto, sempre in grado di presentare ambientazioni e storie molto diverse tra loro.

Un romanzo filosofico denso e avvincente che svela la colpa terribile del pensiero filosofico della nazione tedesca, colpevole di aver contribuito e posto le radici per portare al potere quanto di peggio abbia visto il Secolo scorso, incarnato nella parabola di Heidegger e di coloro che lo hanno seguito.

Come è stato possibile che le più alte vette della filosofia abbiano portato a costruire le basi teoriche del nazismo? Cosa può aver portato la mente sopraffine del grande filosofo ad iscriversi al partito nazista, a diventarne fiero sostenitore?

L’abisso che porterà alla rovina la Germania e i suoi abitanti viene qui descritto con passaggi precisi e ben chiari, attraverso la parabola di un allievo del pensatore tedesco.

L’ ombra di Heidegger,
Beat Edizioni, Feinmann José P.

 

 

È il 1948 e Dieter Muller, allievo del maggiore filosofo del Novecento, il pensatore tedesco Martin Heidegger, prima di compiere il gesto estremo di togliersi la vita, scrive una lunga lettera al figlio. La lettera illumina il clima della cultura tedesca degli anni Trenta, la percezione di trovarsi dinanzi a una svolta cruciale della storia umana in cui si sfidavano nel duello finale, in una vera e propria apocalisse dell’accadere storico, l’universalismo giudaico-cristiano della tecnica, rappresentato dal dominio anglo-americano, e le forze della tradizione europea. Sono gli anni in cui il nazionalsocialismo trionfa, e Martin Heidegger si trasforma nel profeta di una intera generazione chiamando la gioventù tedesca alla lotta per la grandezza perduta della Germania sotto la guida del Fuhrer. Dieter Muller racconta al figlio la sua fede incrollabile in quegli ideali, e il fervore con cui lui e altri giovani intellettuali tedeschi del tempo condussero quella battaglia. Finché, rifugiatosi in Argentina dopo la guerra, la foto di un ebreo condotto alla camera a gas dalle SS, lo pone dinanzi alla terribile verità del genocidio e della soluzione finale. Una verità insopportabile per Dieter Muller, che non esita a porre fine alla propria vita. Dall’istante in cui entra in possesso della lettera del padre, un solo pensiero ossessiona il giovane Muller: rintracciare il responsabile della fine del padre, Martin Heidegger.

Trad Sessa F.

qui, l’autore spiega perchè Martin Heidegger è il filosofo più importante del Novecento:

 

 

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Sorprendente autore, Juan Josè Saer, consigliatissimo a chi ama Cortazar, Bolano. Il nostro libro del cuore della settimana si sviluppa come un romanzo in stile Robinson Crusoe, con il protagonista ormai anziano che rende noto l’avventura che gli cambiò la vita, molti decenni prima.
Negli anni della conquista delle Indie, un giovane viene catturato dagli indigeni, dopo il massacro di parte dell’equipaggio della nave. A distanza di tempo, ancora non si capacita del fatto di essere stato risparmiato, di aver potuto vivere con loro per lungo tempo, per poi essere rispedito con una canoa alla sua gente.
Come se lui dovesse essere testimone di qualcosa nei confronti del resto del mondo.. Perchè ”

tutto deve esserci sempre. Se per caso, anche una sola cosa dovesse mancare, tutto si sgretolerebbe.”

Una gran capacità di orchestrare le proprie storie per questo straordinario scrittore argentino, meritevolmente proposto ai lettori italiani da La nuova frontiera.

 

 

 

L’arcano, Juan Josè Saer, La nuova frontiera

Da qualche parte al di là dell’Oceano, negli anni della conquista e della ricerca delle Indie, un mozzo di quindici anni viene catturato da una tribù di indios. Scoprirà subito che sono cannibali ma, a differenza di quanto avvenuto ai suoi compagni, non è destinato alla graticola: gli indios si aspettano altro da lui. Anno dopo anno la sua cattività si prolunga, monotona e tranquilla, mentre davanti ai suoi occhi si dispiegano gli usi, i costumi e la visione del mondo di quegli indios. Lui riferisce tutto fedelmente al lettore, minuzioso nei particolari, anche i più inquietanti, anche i meno comprensibili. Poi un giorno, all’improvviso, gli indios lo mettono su una canoa carica di regali e lo abbandonano alla corrente; più tardi una nave spagnola lo raccoglie. Tutto il resto della sua lunga vita sarà marcato da quegli anni, la sua avventura diventerà leggenda e lui stesso ne trarrà un canovaccio di successo.
Trad. Laura Pranzetti

Juan José Saer, nato in Argentina nel 1937, è stato il principale scrittore della generazione dopo Borges. Nel 1968 si trasferì a Parigi e fu professore di letteratura all’Università di Rennes. La sua vasta opera narrativa comprende dodici romanzi, cinque libri di racconti, uno di poesia e vari saggi. Nel 1987 vinse il Premio Nadal, a cui si aggiunsero altri prestigiosi riconoscimenti come il premio France Culture, e il premio Unione Latina di Letterature Romanze. Morì a Parigi nel 2005.

Argentine novelist Juan José Saer.

Argentine novelist Juan José Saer. (Photo credit: Wikipedia)

 

 

 

 

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Ci vogliono piccole certezze su cui costruire la giornata. Ebbene, mettete insieme un editore che pubblica solo opere in cui crede, sinceramente amate dalla redazione (e per questa ci hanno garantito l’assoluta affidabilità). Aggiungete la nazionalità dell’autrice (canadese, e i pochi libri che arrivano da quella nazione enorme valgono tutti la tripla a). Poi, Miriam Toews la seguiamo con attenzione dai tempi del suo primo libro italiano, per Adelphi (Un complicato atto d’amore), fino a questo ultimo I miei piccoli dispiaceri, e ha sempre convinto tutti i librai dello staff.

Capite che potete contarci, giusto? Per fortuna, poi, procedendo con la lettura ci si accorge che le premesse vengono ancora una volta mantenute, e non ci resta che condiverne la gioia con i lettori.

Ci vuole un certo coraggio a raccontare una storia che parla di un tentativo di suicidio quando in famiglia ci sono stati due casi “riusciti”, quello del padre, poi quello di una sorella dodici anni dopo. Riuscire ad infondere alla pagina poesia, ironia, e leggerezza significa essere capaci di trasmettere un messaggio positivo, facendo oltretutto buona letteratura. Impossibile non partecipare emotivamente alla vita delle due sorelle protagoniste, la bella e “fortunata” Elf, pianista di fama internazionale, con il mondo ai suoi piedi, e la “precaria della vita” Yoli, che si trova suo malgrado a cercare di rimettere tutto in carreggiata quando la voglia di vivere abbandona il corpo della sorella, gestendo con una forza incredibile la situazione, tra letti d’ospedale, figli lontani, una madre alla ricerca dell’oblio… Difficoltà insormontabili affrontate un piccolo passo dopo l’altro, un libro che rimane dentro dopo averlo voracemente letto!

 

Miriam Toews, I miei piccoli dispiaceri, Marcos Y Marcos

 

 

Elf è sempre stata la più bella.

Ha stile, idee geniali, ti fa morir dal ridere; le capitali del mondo la ricoprono allegramente di dollari per farle suonare il pianoforte e gli uomini si innamorano perdutamente di lei.

Yoli è la sorella squinternata. Ha messo al mondo figli con padri diversi, ha un amante avvocato, se si rompe la macchina fa sesso con il meccanico, ha il conto sempre in rosso e una carriera mancata.

E cos’è adesso questa storia che Elf vuole morire? Proprio in questo momento, poi, a due settimane da un’importantissima tournée.

“Elfie, ma ti rendi conto di quanto mi mancheresti?” Quali sono le cose giuste da dire per salvare una vita? Yoli la prende in giro, la consola, la sgrida, aggredisce lo psichiatra dell’ospedale, cammina lungo il fiume tumultuoso del disgelo, non sa più che pesci pigliare.

Cospira con la madre, con zia Tina, con il tenero marito scienziato di Elf, con Claudio, il suo agente italiano, e tra cene alcoliche, sms di figli ed ex mariti, sorrisi e ultime frontiere del pianto, lottano tutti per convincere Elf a restare. E in questo lungo duello di parole, carezze, umorismo nero si celebra la grazia e l’energia che occorrono per accettare il dono fragile della vita.

 

Scritto per dare forma a un dolore vero, I miei piccoli dispiaceri è un’esplosione di intelligenza, comicità e calore: Miriam Toews è una scrittrice grandissima, e in questo romanzo ha messo tutta la testa, l’anima e il cuore.

 

“Il genio di Miriam Toews miscela lacrime e risate in un magico elisir che pare l’essenza stessa della vita”

The Washington Post

 

“Un romanzo irresistibile” The New York Times

bio. Autentica rivelazione della narrativa canadese degli ultimi anni, Miriam Toews è nata in Manitoba, in una comunità mennonita di stampo patriarcale e fondata sulla colpa. I suoi genitori avevano vedute più larghe e si sono rassegnati a vederla fuggire. A diciotto anni era già a Montréal, e scrivere è stata la sua ribellione.

Il regista messicano Carlos Reygadas l’ha tentata con il cinema, nominandola sul campo attrice protagonista di Luz silenciosa; la sua intepretazione è memorabile, ma il suo vero terreno era e rimane la scrittura, comica e malinconica in modo inestricabile.

Nel 2004 ha vinto un premio stratosferico, il Governor General’s Award, con Un complicato atto d’amore, pubblicato in Italia da Adelphi.

Traduzione di Maurizia Balmelli

 

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La storia di sessant’anni di dolorose vicende dell’Irlanda del Nord scorre rapida nelle pagine di SorJ Chalandon (- finalista con questo libro al Goncourt e amico di Tyrone – il protagonista dal nome fittizio , ma la storia è ispirata ad un fatto realmente accaduto).

Il padre, un eroe caduto nella polvere, Belfast e l’infanzia, la neutralità dell’Ira nei confronti della Seconda Guerra Mondiale, le lotte ed i sogni, la violenza delle due fazioni e la solidarietà tra compagni, e per finire, il “tradimento”. Tyrone riguarda ai giorni della sua vita, ritornato alla casa da cui tutto è partito, e noi vediamo scorrere il dramma di una terra lacerata…

CHIEDERO’ PERDONO AI SOGNI , Sorj Chalandon,Keller

 

Tyrone Meehan è considerato un informatore degli Inglesi e trascorre gli ultimi giorni a Killybegs in attesa dei sicari dell’IRA. Chiederò perdono ai sogni ci racconta la storia di un traditore della sua gente, della comunità cattolica di Belfast, che emerge dalla durezza del conflitto nordirlandese degli anni Settanta e Ottanta. Un romanzo magnifico – finalista al Prix Goncourt 2011 e insignito del Grand Prix du roman de l’Académie française 2011 – che tocca un argomento ancora scomodo e doloroso per la maggior parte degli Irlandesi. È possibile perdonare? Cancellare, dimenticare? Una lettura autentica e straordinaria che ha i toni di un’epopea.

Trad Turato S.

Sorj Chalandon è nato nel 1952. È stato giornalista per «Libération» prima di passare a «Le Canard Enchaîné». I suoi reportage sull’Irlanda del Nord e il processo di Klaus Barbie gli valsero il Prix Albert-Londres nel 1988. Tra i suoi romanzi precedenti Le Petit Bonzi (2005), Une promesse (2006, Prix Médicis), Il mio traditore (Mondadori, 2009) e La Légende de nos pères (2009) tutti editi in Francia da Grasset. Le sue opere sono state tradotte in numerosi Paesi.

 

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il paesaggio devastato della Spagna post crisi, soprattutto quello umano, sfila in questo ottimo romanzo di un acuto narratore. La speculazione immobiliare è rientrata, lasciando un terreno devastato, la disoccupazione altissima ha preso il posto ai sogni di grandezza della nazione. Tutto è cambiato, in questi ultimi anni, come del resto anche da queste parti possiamo renderci conto, e il prezzo di questo mutamento si riflette negli animi delle persone, negli affetti, nelle amicizie: al solito, è il cuore umano il paese più devastato!
Un delitto è la chiave di volta  per questa rappresentazione dei sogni bruciati di una nazione.

Rafael Chirbes, Sulla sponda, Feltrinelli
Trad Pino Cacucci

” Per poter resistere, invece, per restare vivo, c’è bisogno di una buona dose di idealismo. Capacità di mentire a se stessi. Sopravvivono solo quelli che riescono a credere di essere ciò che non sono.”

Il libro

La storia si apre con il rinvenimento di un cadavere nello stagno di Olba, luogo immaginario sulla costa della Comunità valenciana, in Spagna. Esteban, il protagonista, ha dovuto chiudere la sua falegnameria, lasciando i dipendenti disoccupati. Mentre accudisce il padre, entrato ormai nella fase terminale della sua malattia, Esteban indaga i motivi di una rovina che lo vede nel doppio ruolo di vittima e carnefice. Il benessere e il suo rovescio inseparabile, l’avidità. Lo specchio in cui guarda Esteban, a suo modo un uomo senza attributi, restituisce un’immagine fatta di sogni infranti e illusioni perdute. Nulla si è salvato dalla voracità di questi primi anni del xxi secolo. L’amore, la famiglia, l’amicizia, anche i codici sociali sono diventati parte del menu di questo banchetto solo per pochi.
Nei romanzi di Rafael Chirbes la vita interiore dei personaggi coincide con un preciso paesaggio esteriore, in questo caso senza dubbio lo stagno. Lo stagno, principio e fine della narrazione, acquisisce un crescente peso simbolico che ci aiuta a capire le complesse relazioni che gli esseri umani mantengono con il loro ambiente e con la loro storia. La storia ci obbliga a guardare verso quello spazio fangoso che è sempre stato lì, anche se per anni nessuno sembrava essere disposto ad ammetterlo, al tempo stesso spazio d’uso e abisso dove sono stati nascosti delitti e lavate coscienze, pubbliche e private.

English: Rafael Chirbes at Cologne, 30th Septe...

English: Rafael Chirbes at Cologne, 30th September 2008 Deutsch: Rafael Chirbes, Lesung in Köln am 30. September 2008 in der Kulturkirche(neben ihm seine Übersetzerin Dagmar Ploetz (Photo credit: Wikipedia)

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« Le strade attraversano lunghe il paese, i villaggi si stendono nella luce grigia, gli alberi stormiscono e le foglie cadono, cadono. Per le strade vanno passo passo, con le loro divise stinte e sudice, le grige colonne. I visi setolosi sotto gli elmetti d’acciaio sono sottili e scavati dalla fame, dalla miseria, stenti e ridotti ai lineamenti che segnano l’orrore, il valore e la morte. »

 

 

Il romanzo venne pubblicato a puntate sul quotidiano tedesco Vossische Zeitung tra il Dicembre del 1930 e il Gennaio del 1931. Successivamente venne pubblicato nell’Aprile del 1931. L’opera racconta l’esperienza vissuta da un giovane reduce dalle trincee della prima guerra mondiale, al rientro in Germania e il tentativo di reinserirsi nella vita quotidiana. Si colloca cronologicamente come seguito di Niente di nuovo sul fronte occidentale e prima del romanzo Tre camerati, a formare una trilogia capace di raccontare in maniera esemplare l’orrore: in questo libro il tema è quello del ritorno a casa dei sopravvissuti alla Prima guerra mondiale, alla sconfitta della Germania. Di cinquecento uomini iniziali della compagnia, solo una trentina ce l’ha fatta.

Immaginate uno studente delle scuole professionali come Ernst, il narratore, partito per difendere la patria, lasciando i banchi di scuola per vedere la morte in faccia, uccidere con la baionetta un soldato francese, far morire dissanguato un graduato inglese, vedere cadere uno dietro l’altro i commilitoni (spesso compagni di classe)

Remarque in Davos, 1929.

Remarque in Davos, 1929. (Photo credit: Wikipedia)

,emozioni rese magistralmente da Remarque. Poi, sentirsi esclusi dalla gretta società che li ha mandati al macello, lontani, orfani dello spirito fraterno che li hanno legati agli altri fanti in trincea: che senso ha tornare a scuola, dopo essere diventati uomini in questo modo? Come convivere con quanto è rimasto dentro di quei tremendi giorni?

 

Un grande autore, Remarque,le cui opere finirono bruciate dai solerti nazisti…

 

Erich Maria Remarque, La via del ritorno, Neri Pozza

 

Quattro anni trascorsi in trincea, in un inferno di orrori, in un lembo di terra tutta buchi e distruzione, tra brandelli di divise, lampi d’artiglieria e missili che solcano il cielo come fiori colorati e argentei… e poi in un giorno del 1918 ecco, improvvisa, la pace. Niente più mitragliatrici, niente più spari, nessun sibilo di granate. Comincia la ritirata e il ritorno in Germania per Ernst e la sua compagnia. Trentadue uomini, su più di cinquecento fanti partiti all’inizio della Grande guerra. Attraversano la Francia camminando lentamente, con le loro divise stinte e sudicie, i volti irsuti sotto gli elmetti d’acciaio. Magri e scavati dalla fame, dalla miseria, dagli stenti. Anziani con la barba e compagni smilzi non ancora ventenni, coi lineamenti che segnano l’orrore, il coraggio e la fine, con occhi che ancora non riescono a capire: sfuggiti al regno della morte, ritornano davvero alla vita? Lungo la strada incontrano i nemici, gli americani. Indossano divise e mantelli nuovi, scarpe impermeabili e della misura giusta. Hanno armi nuove e tasche piene di munizioni. Sono tutti in ordine. Al loro confronto Ernst e i suoi hanno l’aspetto di una vera banda di predoni. Eppure, una sola parola sgarbata e si lancerebbero all’assalto, selvaggi e sfiatati, pazzi e perduti. Arrivano in Germania di sera, in un grosso villaggio. Qualche festone appassito pende sopra la strada. Dei manifesti stinti dalla pioggia danno Il benvenuto. Ma nessuno li accoglie. Nessuna ragazza li saluta lungo la via, soltanto qualche bambino affamato corre loro accanto. Tutti sembrano tornati a occuparsi di se stessi, la vita continua come se loro fossero degli accessori. È quella davvero la patria, quella la casa? Oppure il fronte, quell’inferno di orrore e distruzione è penetrato così a fondo nei loro cuori che il lembo di terra della trincea è diventato la loro vera patria, terribile e straziante? Pubblicato per la prima volta a puntate sulla Vossische Zeitung e poi in volume nel 1931, La via del ritorno, riproposto qui in una nuova traduzione, fa parte, insieme con Niente di nuovo sul fronte occidentale e Tre camerati, della trilogia di Erich Maria Remarque dedicata alla Grande guerra. È uno dei libri più riusciti dello scrittore messo al bando dai nazisti, un’opera in cui la potenza delle immagini e delle parole si coniuga perfettamente con la storia narrata di un giovane reduce della Grande guerra. La prosa lieve e malinconica di Remarque raggiunge in queste pagine la sua più compiuta espressione, indugiando con maestria sui desolati paesaggi del terribile conflitto e restituendo al lettore l’anima di un personaggio che è il simbolo di un’intera generazione: una generazione che ha creduto di tornare a casa e dimenticare l’inferno delle trincee, e che invece ne è rimasta sopraffatta.

 

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