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Posts Tagged ‘autori indiani’

Ambizione, desiderio di riscatto, amore e conoscenza: elementi ben miscelati da Manu Joseph in questo suo ottimo debutto, condito da una discreta dose di ironia e dallo sguardo lucido che l’autore riesce a gettare alla società indiana. Riuscirà il disincantato Ayyan Mani, di bassa estrazione sociale, a far accettare come genio il figlio Adi?

MANU JOSEPH, IL GIOCO DI AYYAN,Dedalo
Bombay. Ayyan Mani è furbo e intraprendente, ma appartiene alla casta più bassa e può aspirare solo a una vita subalterna e senza prospettive. Ogni mattina esce dall’unica stanza che divide con la mo glie Oja e il figlio Adi in un mostruoso complesso di case popolari e raggiunge l’Istituto per la teoria e la ricerca, dove lavora come umile impiegato. Mentre osserva con sarcasmo la “ricerca della verità” a cui si dedicano gli scienziati dell’odiata casta dei bramini, nell’Istituto divampa la guerra fra due fazioni divise da rivalità professionali e personali, ma anche la passione fra l’austero direttore e un’affascinante astrobiologa. Le conseguenze saranno dirompenti anche a causa dell’intervento di Ayyan, che sfrutta spregiudicatamente la situazione per alzare la posta del suo gioco personale: spacciare Adi per un genio, regalando a Oja la possibilità di sognare.

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storico e scrittore inglese, William Dalrymple conosce alla perfezione l’anima e il carattere del continente indiano: se ne è accorto anche l’editore Adelphi, che ci fa conoscere questo suo affascinante reportage dall’ampio respiro:

WILLIAM DALRYMPLE, NOVE VITE, ADELPHI
Che cosa significa realmente essere un asceta indù o una prostituta sacra, un mistico sufi o un tantrista necromante nell’India dei computer e dei centri commerciali? Le nove storie qui raccolte, frutto di venticinque anni di viaggi attraverso l’India, rivelano l’inattesa persistenza della fede e dei rituali in un mondo in rapido mutamento. Nove storie e nove personaggi memorabili: come il monaco buddhista che imbraccia le armi per difendere il Tibet dall’invasione cinese, salvo trascorrere il resto dell’esistenza stampando bandierine di preghiera per espiare le violenze commesse; la guardia carceraria del Kerala che ogni anno abbandona per due mesi la sua prigione e diventa un danzatore di “theyyam”, ospitando nel proprio corpo una divinità e divenendo così oggetto di venerazione; la monaca giainista che accudisce impassibile l’amica mentre questa si lascia morire ritualmente di inedia per poi scoprire di non poter vivere senza di lei, e decidere quindi di seguirla sulla medesima via. Nove vite vertiginosamente sospese tra fragilità esistenziale e convinzioni incrollabili, che Dalrymple racconta con una prosa tanto vivida quanto misurata, di pregevole qualità letteraria, che contribuisce a fare di questo libro sorprendente qualcosa che non si dimentica

Nove è anche il numero scelto da Chitra Banerjee Divakaruni, la fortunata autrice de La maga delle spezie per il suo nuovo libro: ne proponiamo una recensione da Internazionale

http://www.internazionale.it/i-libri-della-settimana-41/

Chitra Banerjee Divakaruni, Raccontami una storia speciale
Einaudi, 245 pagine,
20,00 euro
[

Nove esperienze, nove storie, nove vite messe di fronte a un’emergenza. L’ultimo romanzo di Chitra Banerjee Divakaruni, Raccontami una storia speciale, esplora identità e carattere dei suoi nove protagonisti mentre usano le parole, per non pensare alla catastrofe imminente. Il romanzo comincia in un ufficio dove rilasciano passaporti in cui un gruppo di persone aspetta di ricevere i documenti per viaggiare in India. Ci sono Uma, una studentessa, il dirigente dell’ufficio e il suo assistente, un veterano del Viet-nam, una signora cinese con la nipote, Tariq, un musulmano segnato dall’11 settembre, e i Pritchett una coppia di anziani coniugi.

Un violento terremoto improvvisamente scuote l’edificio intrappolando tutti. Anche se il veterano prende il controllo della situazione, l’acqua che comincia ad allagare il piano terra scatena il panico. È allora che prende piede l’idea di Uma. Convinta sostenitrice del potere delle storie, la ragazza propone che tutti siedano insieme e si raccontino “una cosa incredibile” della loro vita, un episodio sepolto nella memoria e mai condiviso prima. Da qui il libro comincia davvero e prende forma l’identità dei protagonisti. L’autrice usa una narrazione introspettiva e coinvolgente. Le storie sono differenti e ognuna apre uno squarcio sul mondo di chi la racconta, innescando curiose dinamiche di relazione nel gruppo, al cui interno emerge anche la tendenza a cadere in pregiudizi e stereo-tipi. Agli occhi degli altri il barbuto Tariq ha l’aspetto del tipico musulmano dietro il quale si può nascondere un terrorista.

La signora Pritchett invece rompe gli schemi e ha il coraggio di svelare, proprio davanti al marito, che guardando un’altra coppia in un ristorante si è resa conto che al loro matrimonio, anche se apparentemente impeccabile, manca qualcosa. La storia scorre perfettamente, come le altre otto, con il loro realismo, e il loro fascino dovuto alla profondità e alla sensibilità dell’autrice. Il romanzo, che non costringe il lettore a inutili sforzi di attenzione, esplora con semplicità i meccanismi più intimi che servono a formare l’identità di ognuno di noi. Preeti Mehra, The Hindu

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adiga

Short story ispirate alla Commedia Umana di Balzac, certo, ma il quadro che ne esce da questo affascinante libro di Aravind Adiga (impostosi alla fama mondiale con La tigre bianca, scritto praticamente in contemporanea con questo libro e vincitore tra l’altro del Man Booker Prize) è quello unitario di una città indiana preboom economico, tra l’assassinio di Indira Gandhi nel 1984 e quello di suo figlio Rajiv nel 1991 . Una città, Kittur, vista attraverso un percorso che, partendo da quello turistico ufficiale giunge, quadro dopo quadro, ad illuminare gli sguardi dei derelitti che la popolano. Un grande talento!


Aravind Adiga
«Fra due omicidi», Einaudi

«Pezzi di bravura compagni della Tigre Bianca, le storie di Adiga mostrano tutte le sfaccettature del suo abbagliante, esuberante talento. Fra due omicidi conferma che Adiga – con Vikram Chandra e Namita Gokhale – è una delle più importanti voci emerse in India negli ultimi anni».

The Guardian
Ambientato nei sette anni intercorsi tra gli omicidi di Indira Gandhi, assassinata nel 1984, e del figlio Rajiv, ucciso nel 1991- un periodo di grandi speranze per l’India, che vedeva in Rajiv Gandhi una via di uscita dalla dilagante corruzione – Fra due omicidi è il secondo libro pubblicato da Aravind Adiga, una raccolta di short stories ideata e scritta contemporaneamente al successo internazionale La Tigre Bianca, vincitore del Booker Prize nel 2008. «I due libri si collocano al di là e al di qua della grande cesura nella storia moderna dell’India, l’anno 1991» – ha dichiarato Adiga – «Quando ero ragazzo, la società indiana era chiusa, caratterizzata da un’economia di tipo socialista dove ogni cosa era controllata dal governo. Nel 1991 tutto è cambiato, l’economia è stata liberalizzata e ciò che è chiamato la nuova India ebbe inizio. La nuova India è il paese in cui è ambientato La Tigre Bianca, e ho sempre pensato a una sorta di immagine speculare del paese ambientata negli ultimi anni della vecchia India. Questo è Fra due omicidi, di cui La Tigre Bianca sviluppava un paio di storie».

E come nella Tigre Bianca, dell’India Adiga consegna ai lettori un altro ritratto lontanissimo dalle immagini patinate di Bollywood e di molti romanzi indiani. «Sei andato in campagna a vedere come vive la gente, a differenza del novanta per cento dei nostri scrittori», dice un editore a Murali, giovane scrittore di racconti protagonista di una delle storie raccolte in Fra due omicidi. Il risultato è un mosaico di storie che si intrecciano sullo sfondo della città immaginaria di Kittur, protagonisti conducenti di risciò e ricchi industriali esasperati dalla corruzione, giornalisti alla perenne ricerca della verità ed esponenti del partito comunista indiano, cristiani e musulmani, bramini e paria. Personaggi molto diversi ma tutti accomunati dal fortissimo desiderio di migliorarsi, perché ogni personaggio «Vuole, vuole, vuole. Vuole fino all’ultimo giorno della sua vita»

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Hotel Calcutta ci arriva  da qualche decennio fa, ma non ha certo perso verve! Vista la frenetica attività degli editori nel proporre nuovi talenti dal subcontinente indiano, è un vero e proprio piacere scoprire anche opere del passato mai proposte al pubblico italiano (anche in lingua inglese il testo è stato tradotto da poco, nel 2007). Hotel Calcutta ha tutte le caratteristiche dei buoni romanzi: la capacità di condurre il lettore in un altro luogo, in un altro tempo, di renderlo partecipe delle avventure del protagonista e di affezionarsi ad esso, di essere brulicante di vita!

Hotel Calcutta
, Sankar, Neri Pozza

Anni Cinquanta: Calcutta si chiama ancora Calcutta e vive gli ultimi splendori del suo recente passato coloniale. Nella «striscia d’oro», la zona della città che gli inglesi chiamano Esplanade e gli indiani Chowringhee, il centro della vita mondana e dei grandi alberghi, si aggira Shankar, un ex babu, un giovane impiegato di un avvocato inglese dell’alta corte, anzi, per essere precisi, «dell’ultimo avvocato inglese dell’alta corte di Calcutta». L’illustre esponente del foro imperiale britannico è morto e il ragazzo si è ritrovato di colpo nel deserto di povertà e penuria da cui viene, e che credeva di essersi lasciato definitivamente alle spalle. Per allontanare lo spettro della fame, vaga per la città cercando di vendere cestini per la cartastraccia fabbricati da un giovanotto di Madras, che oltre ai cestini non possiede altro che due paia di calzoni e una sudicia cravatta. Per i dannati della terra come Shankar, basta il minimo temporale a distruggere l’oasi. Ma per fortuna non è sempre così. In un giorno in cui sonnecchia al parco di Chowringhee, si imbatte in uomo dalla pelle color mogano, lucida come le scarpe che hanno ricevuto il trattamento dai lustrascarpe di DharmataJa. E il detective Byron, il grande investigatore: per lui qualunque caso, per quanto complicato o misterioso, è immediatamente «chiaro come la luce del giorno, trasparente come l’acqua». Byron gli trova un lavoro nell’albergo più antico e prestigioso dell’Esplanade: lo Shahjahan Hotel.

Dopo un “quasi classico”, ecco invece un palpitante ritratto della nuova India, sempre da Neri Pozza
Radhika Jha
Il dono della dea
Neri Pozza

Laxmi ha occhi grandi e scuri, naso corto e sottile, labbra piene come le vele di una barca al vento. Quando si china il suo corpo si incurva dolcemente e si arrotonda nei punti giusti, mentre i capelli deliziosamente neri e folti si muovono come una nidiata di serpenti.
Laxmi è anche una ragazza ostinata, molto ostinata. Suo padre aveva un sogno: far fruttare i miseri quattro ettari di terra ereditati come se fossero dieci utilizzando le nuove tecniche agricole. Per realizzarlo è precipitato nella rovina più nera per mano dell’usuraio di Khargaon, il villaggio nel cuore dell’India rurale dove la famiglia di Laxmi vive da generazioni. Una rovina dall’esito tragicamente scontato: il suicidio.
Dalla sua morte, Laxmi ha coltivato un solo scopo nella sua vita: dimostrare che il sogno di suo padre non era una chimera. Per questo ha frequentato le scuole secondarie, poi il college a Mandleshwar, quindi un politecnico dove ha studiato agraria. Per questo, a venticinque anni, è diventata una creatura aliena a Khargaon,  una giovane donna istruita da guardare con sgomento e orrore.
Alla mamma di Laxmi non è restato altro che spedire un sensale nel villaggio di Nandgaon, nel cuore della foresta.
Veloce come una freccia avvelenata, il matrimonio combinato ha condotto Laxmi nella casa di Ramu. Un misero edificio con un tetto di paglia, con un uscio di legno scheggiato e consunto, senza finestre, una tenda rattoppata all’entrata. In un mondo fatto di roccia e acqua, immerso in un silenzio duro e spietato, dove non si sente neppure il colpo di tosse di un bimbo o il latrato di un cane, Laxmi trascorre il tempo accovacciata nella veranda a contare i chicchi di riso in un vassoio di vimini, come una povera donna che non ha molti compiti domestici, non ha barattoli di conserva da mettere al sole, polli da nutrire, bimbi da accudire, panni da lavare e utensili da riordinare.
Ramu, suo marito, dopo essersi legato un cencio attorno al collo, ogni pomeriggio porta le capre al pascolo nei campi che circondano la foresta.
In un giorno di cielo cupo e di vento, torna con una strana creatura con un orecchio lacero, privo di un pezzo di pelle: una vacca… «un dono della dea» per loro due che non hanno niente…
Romanzo corale, con un’incredibile varietà di personaggi – Darbari il barbiere troppo intelligente per il suo umile rango, Jaiwant Rane, il maestro di scuola con mani e piedi troppo grossi per il suo corpo minuscolo e macilento, Saraswati Rane, il sacerdote brahmano con l’alito pesante nonostante la dieta vegetariana, Gopal Mundkur, il capovillaggio che ogni giorno canta il più antico dei mantra in onore dell’Uno, Manoj Mishra e Pratima, i magnifici alter ego di Laxmi e Ramu – Il dono della dea è una grande opera sul cruciale e delicato passaggio alla modernità di un antico e glorioso paese.

Dall’autrice dell’Odore del mondo, «un magnifico romanzo su ciò che sta trasformando il cuore e il corpo dell’India».
The Independent

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Un nuovo editore, collegato a Giunti, propone uno sguardo attento ai nuovi talenti narrativi di un continente sempre più protagonista.

http://www.metropolidasia.it/

Metropoli d’Asia è una nuova casa editrice fondata da Andrea Berrini, scrittore e saggista, in partnership con Giunti Editore. L’obiettivo: scoprire, tradurre e proporre a un vasto pubblico narratori contemporanei asiatici che propongono temi e scritture innovativi. Metropoli d’Asia intende concentrarsi su autori residenti in molti paesi, che ne vivono quindi in prima persona la realtà, e su romanzi ambientati in prevalenza nelle aree urbane; autori legati a un luogo, con il quale hanno una contiguità fisica, materiale, perché ne battono le strade e i quartieri e hanno relazioni dirette con gli abitanti. Il piano editoriale prevede l’uscita dei primi titoli nel 2009, a partire dal 14 ottobre.

Shazia Omar ,
Come un diamante nel cielo

Come si scrive un noir ambientato nella capitale del Bangladesh, uno dei paesi più poveri del mondo? Immergendo i suoi protagonisti nei vapori dolciastri dell’eroina, Shazia Omar racconta la parabola di due tossicodipendenti. Deen è il rampollo di una famiglia ricca, anche se decaduta, AJ proviene invece dal mondo delle baraccopoli, ma è riuscito a farsi strada come scagnozzo di un boss del contrabbando di pietre preziose. Tra feste d’alto bordo, rapine, e sballi di LSD, cantando la Lucy in the Sky with Diamonds dei Beatles e la Heroin di Lou Reed, i due restano invischiati nelle manovre della corrotta polizia di Dhaka che perseguita i piccoli pusher, ma protegge i trafficanti. Un noir semplice e di impianto classico: l’amore struggente per una ragazza, la pistola del boss, la partita di diamanti. Gli ingredienti del romanzo di genere ci sono tutti, l’ambientazione è insolita. Percorrendo in motorisciò i vicoli squallidi e miserabili come i viali alberati delle residenze di lusso, facendosi accompagnare dai classici del pop internazionale come dall’hindi pop locale, i due protagonisti si avviano verso un finale sorprendente e senza sconti.

Shazia Omar
Shazia Omar ha 29 anni ed è cresciuta a Dhaka. Si è laureata in psicologia nel New Hampshire, e ha lavorato come analista finanziaria alla Lehman Brothers a New York. Coinvolta nella tragedia dell’11 settembre, salvatasi rocambolescamente dal crollo del grattacielo che ospitava il suo ufficio, decise di cambiare vita. Dopo aver completato un master in psicologia sociale a Londra, ha svolto un tirocinio in un centro di riabilitazione per eroinomani a Bombay, un’esperienza che ha poi rielaborato


Kiran Nagarkar ,
Ravan & Eddie

Fa pensare alla Belleville di Pennac, il chawl dove nascono e crescono Ravan e Eddie. Un condominio popolare dove si intrecciano le storie di due bambini, poi adolescenti, poi giovani adulti, l’uno indù e l’altro cattolico, ma talmente insofferenti alle convenzioni da arrivare a scambiarsi i ruoli. A partire da un imperdibile incipit – nel corso del quale Ravan si trova per un caso a uccidere il padre di Eddie – la leggerezza e l’ironia del tocco di un grande autore come Kiran Nagarkar ci strappano risate anche quando si toccano temi importanti, come le relazioni tra religioni diverse e le differenze di casta. Inestricabilmente legati anche se in eterno conflitto, i due ragazzi si confrontano con una galleria di personaggi sordidi e strampalati, immaginifici e vitali. Chiedete a un abitante di Bombay: qual è il romanzo che me

Kiran Nagarkar
Romanziere, drammaturgo e sceneggiatore, Kiran Nagarkar (Bombay 1942) è uno dei più noti scrittori indiani. Scrive sia in marathi che in inglese. Il suo primo romanzo, Saat Sakkam Trechalis (uscito nel 1974 e pubblicato in inglese col titolo Seven Sixes are Forty-Three ) è considerato una pietra miliare nella letteratura indiana dopo l’indipendenza. Nel 1978 scrive la sua controversa pièce Bedtime Story e nel 1994 viene messa in scena l’opera teatrale Kabirache Kay Karayache? , sugli scontri etnici

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Dice Animal all’inizio di questo libro: “un tempo ero umano” , nel corso della storia, capirà invece, ad onta dell’aspetto fisico, di esserlo comunque troppo!
Il luogo in cui si svolge la vicenza è Khaupfur, un piccolo villaggio indiano colpito dalle esalazioni venefiche della micidiale e tristemente famosa Union Cardibe, che nel 1984 seminò morte. Il narratore è un ragazzo reso deforme da questo incidente, costretto a camminare a quattro zampe per i danni subiti dalla colonna vertebrale, e chiamato per questo Animal. Animal ha alcuni sogni che rende noti ai suoi ascoltatori: vendicarsi della fabbrica che gli ha minato l’estistenza, fare sesso, e camminare come le altre persone. Le cose prenderanno una piega particolare quando dagli Stati Uniti arriverà una dottoressa animata dalla volontà di fare qualcosa per le persone malate come lui: ci sarà da fidarsi dalle sue parole, pronunciate da chi condivide la nazionalità di chi ha rovinato migliaia di esistenze?
Quella di Indra Sihna (che con Animal è arrivato vicino al Booker Prize) è una scrittura arrabbiata, mista a volte a momenti satirici, che ci parla di giustizia ed equità, di sogni e di desideri, della natura umana e dei suoi gorghi, senza nascondere nulla al lettore.

Indra Sinha,
Animal, Neri Pozza

«Un tempo ero umano. Almeno così dicono. Io non ricordo, ma la gente che mi ha conosciuto da piccolo racconta che camminavo su due piedi come un essere umano».
La storia di Animal comincia quella notte in cui lo trovarono steso davanti a una porta, bimbo di pochi giorni, avvolto in uno scialle. La notte famosa in cui la Kampani, la fabbrica chimica americana, sparse nel cielo del piccolo villaggio indiano di Khaufpur dei veleni «così buoni» che dopo tanti anni non si riescono ancora a togliere.
Animal tossiva quella notte, aveva la bava alla bocca, gli occhi storti dalla nebbia bruciante. Nessuno si aspettava che sopravvivesse, quando lo portarono all’ospedale. E invece sopravvisse. E allora lo affidarono all’orfanotrofio locale visto che non c’era anima viva a reclamarlo.
A sei anni, però, ecco un improvviso bruciore nel collo e dietro le spalle, e la schiena che comincia a piegarsi. Quando la spina dorsale ha smesso di fondersi, le ossa erano piegate come una forcina e la parte più alta di lui era il culo.
I primi a chiamarlo Animal sono stati i bambini dell’orfanotrofio quando l’hanno visto camminare a quattro zampe. E da allora il nome gli è rimasto appiccicato come fango.
Ogni tanto Ma Franci, la suora che lo accudisce come se fosse la sua vera madre, gli ricorda quanto gli piaceva da piccolo nuotare nei laghi dietro la fabbrica della Kampani e come si tuffava «con le braccia e le gambe tese, bello dritto».
Ma quando gli dice così Animal si sente triste, perché sogna ancora di tuffarsi dritto come un bastone nell’acqua profonda lasciandosi dietro la sua ombra storta.
Ora, però, ha trovato un lavoretto. È entrato a far parte della banda di Zafar, un tipo che ha lasciato di punto in bianco l’università ed è venuto a Khaufpur per organizzare la lotta contro la Kampani. Animal deve tenere occhi e orecchie aperti nelle strade e nei chioschi di chai, per scoprire cosa stanno architettando governo e munsipal per fregare la gente.
Nello slum, dicono che Zafar e i suoi sono dei santi a difendere le «vittime del veleno». Animal, però, odia tutti i discorsi sulle «vittime del veleno» e, per quanto riguarda Zafar, sa che non è affatto un santo visto che, quando compare la bella Nisha, nei suoi occhi c’è la stessa libidine che brilla nei suoi.
Romanzo-evento della recente stagione letteraria britannica, finalista al Booker Prize, vincitore del Commonwealth Writers’ Prize, Animal è una di quelle rare opere in cui un tragico evento reale (il più grave incidente chimico-industriale della storia avvenuto a Bhopal nel 1984) consente alla letteratura di celebrare la vita descrivendo lucidamente la crudeltà del male.

«Ecco i bambini dell’apocalisse! Un nuovo grande romanzo della narrativa angloindiana».
The Times Literary Supplement

«Un libro con il potere di cambiare le cose».
Sathyu Sarangi, International Campaign for Justice in Bhopal

«Un romanzo straordinario, perfetto».
The Independent

«Un sontuoso sense of humour e, insieme, un violento pugno nello stomaco».
Daily Telegraph

«Con Animal, Sinha ha creato un nuovo memorabile Quasimodo».
Time Magazine

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