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Posts Tagged ‘autori svizzeri’

Parlare di immigrazione, di fuga dal proprio Paese, continua a sembrarci doveroso. Non solo quella contemporanea, ma facendo mente locale a quello che il Novecento ci ha già mostrato, dai profughi in fuga dalla civile Germania diventata nazista (la recente nuova edizione di Notte a Lisbona, di Remarque), a quella che vi proponiamo, dalle nazioni del blocco comunista verso l’occidente, ispirata alla biografia dell’autrice, scappata nel 1968 a diciotto anni dalla Cecoslovacchia. Due originali voci danno vita a questo libro, quella della ragazza sfuggita dall’Europa dell’Est, con il suo non semplice inserimento nella civile Svizzera, la seconda appartiene alla stessa persona ormai in possesso di una nuova patria, divenuta al presente interprete e ideale ponte tra le autorità e i nuovi migranti, traghettatrice di voci e sentimenti, sempre partecipe (al punto da permettersi qualche “ritocchino” alle dichiarazioni dei suoi assistiti per impressionare maggiormente la controparte…).

Se all’autrice sono serviti dieci anni per mettere la parola fine al suo testo, ci piace sperare che a lungo resterà nella memoria del lettore, se lo meriterebbe veramente!

 

STRANIERA INGRATA, Irena Brezna, Keller Edizioni

TRADUZIONE DAL TEDESCO SCILLA FORTI

 

La terra straniera non è sempre e comunque il paradiso, neanche quando si fugge dall’inferno.

Irena Brezná l’ha capito perché anche lei è emigrata dal suo Paese natio, la Cecoslovacchia, e facendo tesoro di questa esperienza ci offre un romanzo toccante e a tratti comico tutto giocato attorno a due voci narranti: una giovane donna che si scontra col nuovo Paese rimodellando man mano se stessa, e un’interprete che racconta i singoli drammi e le tante sfumature dell’immigrazione. Il libro ci accompagna nell’inevitabile conflitto dell’incontro tra culture e tocca temi di grande attualità.

Con un’ironia tagliente, una scrittura precisa e un’onestà implacabile Irena Brezná fissa sulla carta una riflessione imperdibile sull’identità degli uomini e delle nazioni.

Un romanzo per cittadini, viaggiatori e individui stanziali grazie al quale non si guarderà più ai confini nello stesso modo.

 

 

Irena Brezná è nata nel 1950 in quella che un tempo era Cecoslovacchia e oggi Slovacchia ed è emigrata in Svizzera nel 1968 dove tuttora vive e lavora. Dopo gli studi di slavistica, filosofia e psicologia s’impegna nella mediazione interculturale e a favore dei diritti umani. Dal 1981 è scrittrice e giornalista. I suoi articoli, pubblicati in Svizzera, Germania e Repubblica Slovacca, hanno ricevuto numerosi riconoscimenti. Le sue opere letterarie affrontano principalmente i temi dell’esilio e della patria.

 

 

 

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Un vero e proprio gentlemen, Johan Friedrich von Allmen, anche se ha dovuto fare ricorso al “lavoro”, al “guadagno”, per mantenere lo stile di vita pieno di bellezza che ama da sempre, come retaggio di famiglia! Per fortuna ha un oculato collaboratore, il clandestino guatemalteco Carlos, ad aiutarlo nella vita e nei conti. La loro agenzia investigativa, specializzata nel recupero di opere d’arte (Allmen è ovviamente anche esperto conoscitore), procede a gonfie vele, e ora si prospetta un nuovo intessante caso, la sparizione di un dipinto di grande valore. Con una storia particolare alle spalle! Azzeccato in ogni pagina, parola di libraio!

 

Allmen e le dalie,

Suter Martin, Sellerio

Traduttore         Cervini E.

 

Johann Friedrich von Allmen “mette insieme persone e opere. Anzi le rimette insieme. Opere rubate, scomparse, smarrite, perdute”. In altri termini, fa il segugio di pezzi d’arte di grande valore, per lo più di stile decadente, vicini alla sua malinconia di dandy che ha dilapidato tutta la ricchezza paterna. Per lui e i suoi due aiutanti clandestini in Svizzera, il guatemalteco Carlos e la colombiana Maria, in questo caso il lavoro, ben pagato, è di rimettere insieme Dalia Gutbauer, milionaria centenaria, con le Dalie di Fantin-Latour, il grande pittore francese. Un dipinto mai più visto da nessuno e riemerso per vie misteriose dal passato della finanziera. Al quadro rubato è legata una terza dalia, Dalia Fioriti, bellissima giovane dalla pelle bianca come un petalo, amatissima da un uomo d’affari pericoloso. Allmen deve capire cosa lega tra di loro le vecchie figure che vivono attorno alla decrepita madame nell’hotel dalla passata fortuna che la ospita: un viveur prossimo alla fine, una maliarda dal viso di ragazza e le mani rugose, due sorelle pettegole, una fredda assistente privata, un elegante signore dai modi di avventuriero. Quale storia si nasconde dietro ciascuno di loro.

 

 

 

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prima di Argentina  – Svizzera di calcio di oggi: Un ritratto di Baires, o un romanzo di Max Fritsch?

El Caminito de La Boca - Buenos-Aires

El Caminito de La Boca – Buenos-Aires (Photo credit: Wikipedia)

Buenos Aires, Ritratto di una città,
 Nick Caistor, Odoya

L’architetto Le Corbusier definì Buenos Aires “la capitale di un impero immaginario”. A partire dalla sua fondazione nel VI secolo, la principale città argentina è stata tanto un luogo dell’immaginazione quanto lo scenario di numerosi eventi storici cruciali. Dalle invasioni straniere del passato ai più recenti colpi di stato e dittature militari, parallelamente alla storia della città si è sviluppata una vibrante cultura popolare generata dalla durezza dell’immigrazione e dalla nostalgia per una patria perduta.
Questa guida culturale ci spinge a riflettere sugli sforzi di uomini e donne per costruire una città dove realizzare i propri sogni, fornendoci al contempo un vivido affresco della Buenos Aires odierna. Dai grattacieli sorti lungo l’estuario del Rio de La Plata al pittoresco porto di La Boca da dove migliaia di migranti si sono affacciati per la prima volta al nuovo continente, Buenos Aires ha creato la sua propria leggenda, che oggi rivive nelle tanguerie, negli affollati campi da calcio, nei caffè dove prendono vita sostenuti dibattiti o da dove osservare il movimentato viavai dei passanti.
Nick Caistor ci porta all’interno della brulicante città, mostrandoci come il passato abbia plasmato le sue strade, come la politica argentina abbia lasciato il proprio marchio in ogni angolo urbano, come ogni nuova ondata di abitanti si sia venuta a integrare al variegato mix culturale della città. Esplorando la complessa eredità lasciata tanto del colonialismo spagnolo quanto del peronismo. Riflettendo su quanto abbiano rappresentato per Buenos Aires scrittori come Darwin e Humboldt, Borges e Cortázar. Rivelandoci Buenos Aires come città vivissima e pulsante di musica, danza e spettacolo.

“E la città, adesso, è come una mappa delle mie umiliazioni e fallimenti;
da quella porta ho visto i tramonti e davanti a quel marmo ho aspettato invano.
Qui l’incerto ieri e l’oggi diverso mi hanno offerto i comuni casi di ogni sorte umana;
qui i miei passi ordiscono il loro incalcolabile labirinto.”
– Jorge Luis Borges, Buenos Aires –

Autore
Nick Caistor ha vissuto a Buenos Aires per molti anni, continuando a esplorarla e studiarne l’evoluzione architettonica, politica, economica e culturale nell’ultimo decennio. Corrispondente dall’Argentina per la BBC, ha scritto e tradotto numerosi libri sull’America Latina.

Max Fritsch

Max Frisch
Il silenzio, DelVecchio edizioni
Balz Leuthold non ha mai voluto essere una persona ordinaria. Poco prima del suo trentesimo compleanno, però, si rende conto di non potersi neanche considerare davvero una persona straordinaria. Nella vita, fino a ora, non ha compiuto azioni degne di particolare nota, nessuna invenzione, nessuna creazione artistica o letteraria che lo elevino a persona speciale. Allora ha preso una decisione: scalerà quella montagna che da giovane guardava ergersi sulle sue passeggiate, che faceva ombra ai discorsi con il fratello “adulto”. Compirà un atto eroico, e con questa azione “virile” darà un senso compiuto alla sua esistenza. È deciso: azione o morte. Ma giunto in montagna alla locanda dove sostava anche in gioventù, incontra una giovane straniera, che lo guarda e lo vede come nessuno fino ad allora lo ha mai guardato e visto. Chi è lei, da che vita proviene? Perché sembra non aver paura di nulla? E dall’incontro tra i due scaturiscono gli interrogativi, e la narrazione si sviluppa e trascina via il lettore proprio come un torrente montano scorre rumoreggiando tra i crepacci, e il vortice di pensieri e accadimenti lascia senza fiato, travolge come il senso di assoluto degli ambienti montani, dove il sorgere del giorno e il calare della notte sono eventi che penetrano le fibre dell’individuo tanto quanto fame, sonno e sete. E la domanda echeggia: cosa fa di una vita una vita veramente compiuta? Ha a che fare, questo, con la felicità?

Max Frisch dà voce alle domande di un uomo alle prese con il proprio prepotente bisogno di compiutezza.
Il Venerdì di Repubblica

È NATO A ZURIGO NEL 1911, ED È STATO uno dei più noti e importanti scrittori del secondo Novecento, entrato a far parte anche del canone scolastico in particolare per i grandi romanzi, Homo Faber, Il mio nome sia Gantenbein e Stiller. Ma forse ancora più interessanti dei romanzi sono le narrazioni brevi e soprattutto il suo teatro (Andorra, La muraglia cinese, Don Giovanni o l’amore per la geometria), e gli sceneggiati radiofonici, di grande profondità e incisività. Architetto, soldato, giornalista e grande viaggiatore, Frisch fu da giovane un esperto scalatore, e la montagna rimase tra le sue passioni come luogo reale e simbolico, insieme alla letteratura, la psicologia e la geometria. La sua vita fu ricchissima di cambiamenti di ritmo e scenario, amicizie stimolanti (tra cui quelle con Brecht, Dürrenmatt e Ingeborg Bachmann), eventi imponderabili e riconoscimenti. Sempre apparentemente in fuga, adorava i rifugi, tra cui il più amato, dalla fine degli anni Sessanta, fu una vecchia stalla a Berzona da lui riadattata a residenza. Frisch ottenne tutti i più importanti riconoscimenti di ambito germanofono e anche molti premi e attestazioni di merito in Francia, Inghilterra, Israele e Stati Uniti

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“Il mondo è una polveriera in cui non è vietato fumare” diceva Dürrenmatt.

Un vero e proprio manifesto programmatico della precarietà a cui sottopone i propri personaggi.

Sono solo poche pagine quelle de LA PANNE, in cui troverete condensato il meglio dell’autore, con la sua visione tagliente sulla società, il mondo, il destino, il senso del potere.Adorabile

 

Basterebbero le prime folgoranti pagine per far amare questo libro, sulla possibilità che esistano ancora storie possibili, storie per scrittori. Con la certezza che basta una panne, un piccolo intoppo in un perfetto meccanismo, per cambiare la vita di un personaggio.

Da un grande maestro della letteratura, ecco

English: Friedrich Dürrenmatt, Swiss author an...

English: Friedrich Dürrenmatt, Swiss author and dramatist at Bonn 1989. Award ceremony of Ernst-Robert-Curtius-Preis für Essayistik (Photo credit: Wikipedia)

LA PANNE, di Friedrich Durrenmatt, Adelphi

Quattro pensionati – un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia – ammazzano il tem­po inscenando i grandi processi della storia: a So­crate, Gesù, Giovanna d’Arco, Dreyfus. Ma è certo più divertente quando alla sbarra finisce un impu­tato in carne e ossa: come Alfredo Traps, viag­gia­tore di commercio, che il fato conduce un giorno al­la villetta degli ex uomini di legge. La sua auto­mobile ha avuto una panne lì vicino, ma lui non se ne rammarica, anzi: pregusta già il lato piccante della situazione. Si ritrova invece fra i quattro vec­chi signori simili a «immensi corvi», che gli il­lu­strano il loro passatempo. Traps è spiacente: non ha commesso, ahimè, nessun delitto. Niente pa­u­ra, lo rassicurano, «un reato si finiva sempre per tro­varlo». Bisogna confessare, dunque: «che lo si vo­glia o no, c’è sempre qualcosa da confessare». Tra squi­site portate e vini d’annata, il gioco si fa sem­pre più allarmante, finché Traps scopre in sé l’ar­tefice di un delitto che merita «ammirazione, stu­pore, ri­spetto», degno, anzi, «d’essere an­no­ve­ra­to fra i più straordinari … del secolo» – un de­lit­to ca­pace di rendere «più difficile, più eroica, più preziosa» la sua meschina vita di imbrogli e adul­teri. Ora, per la prima volta, quella giustizia che ave­va sempre ritenuto «astratta cavillosità ves­sa­to­ria» illumina il suo limitato orizzonte «come un im­mane, inconcepibile sole».

 

 fresco in libreria, anche questa altra intelligente proposta: 
FRIEDRICH DÜRRENMATT
Un angelo a Babilonia, Marcos Y Marcos

Una ragazza candida, sexy, arguta.
Un angelo trafficone,
l’uomo più povero al mondo
e il re di Babilonia.
Un intreccio di amori e seduzioni,
assurde utopie, ruoli capovolti.

Tutti sono innamorati di Kurrubi: da quando l’Angelo l’ha portata a Babilonia, fanno a gara per conquistarla.
Vie, piazze, giardini sono colmi di sospiri, traboccano di canti: banchieri che compongono poesie, burocrati che scrivono canzoni.
Ma il cuore di Kurrubi è impegnato; lei ama un mendicante che l’ha baciata in riva all’Eufrate e poi è sparito.
Appariva il più povero di tutti i mendicanti, più miserabile persino di Akki, l’ultimo mendicante di Babilonia, che fa dell’accattonaggio un’arte.
Quell’uomo così semplice e privo di ogni mezzo in realtà era Nabucodonosor, il re di Babilonia; si era travestito da mendicante per convincere Akki a cambiare mestiere.
L’accattonaggio è disdicevole, nel suo regno.
Di un re, però, Kurrubi non sa che farsene.
Potrà avere questa donna irresistibile soltanto chi avrà la forza di rinunciare alla politica, al potere, al denaro, per camminare con lei in una terra “unica per la felicità e i pericoli che contiene, multicolore e selvaggia, meravigliosamente ricca di possibilità”.

A colpi di dialoghi e frasi memorabili, la penna di Dürrenmatt cesella una clamorosa parodia su mondo, potere e libertà.

 

 

 

 

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“se qui uno mostra un sentimento, è già quasi spacciato”.  Siamo in Svizzera, e il commissario Hunkeler giunge con questo libro alla sua terza avventura. Come al solito, non si comporta come il classico “svizzero”. Proprio mentre commette qualcosa di indicibile scoprirà quel che resta di un compagno di bevute…
Il lato “borghese” del Paese, aggrappato alle proprie paure e al timore di perdere i propri benefici viene smascherato con bravura dalla penna dell’autore

Cosa combini, Commissario Hunkeler, Schneider Hansjorg, Casagrande

trad De Grandi G.

  Uscendo dalla bettola che ama frequentare durante i suoi vagabondaggi notturni, il commissario Hunkeler trova il cadavere del suo vecchio compagno di bevute Hardy, sgozzato e abbandonato su una panchina. Quella di Hardy è la prima di molte figure che emergeranno dalla fitta nebbia di Basilea, una nebbia persistente che nasconde una trama criminale che sembra diramarsi in tutte le direzioni. Come al solito, Hunkeler è in conflitto con i superiori. E come al solito, Hunkeler non riesce a tenersene fuori neanche quando viene sospeso dal servizio. E così i lettori si troveranno a seguirlo per locali non proprio raccomandabili, boschi fangosi ai confini con l’Alsazia e accampamenti nomadi. Cosa c’era nel passato di Hardy che il commissario non ha mai saputo? Cosa c’entra la mafia albanese con la morte della giovane Barbara Amsler? E perché quei simboli ricorrenti del serpente, del falco e dell’aquila? Mentre la sua dolce e solare compagna Hedwig, appassionata di arte moderna, è a Parigi per approfondire la conoscenza di alcuni pittori di quel periodo, Hunkeler finirà suo malgrado per approfondire un capitolo imbarazzante della recente storia svizzera, dove lo zelo del bene sembra aver generato un male non ancora del tutto esauritosi.

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Esordire nella traduzione.
Emanuela Cavallaro racconta la sua esperienza:

Il mio esordio nel campo della traduzione letteraria è, in realtà, precedente alla pubblicazione del mio primo libro. Cioè, per precisione dovrei dire “del primo libro tradotto da me”. Perché in fondo non l’ho scritto io. O forse sì…? Comunque a me viene spontaneo dire il mio primo libro. Perché in fondo l’ho scritto anch’io. O almeno l’ho ri-scritto. Ci ho convissuto per mesi, soppesando ogni parola, modellando ogni frase, ragionando sulle metafore, adattando il ritmo e lo stile. Non è forse scrittura, questa? Certo, non ho inventato la storia, né i personaggi. Questo è compito dell’autore. Ma quella storia poi chi ve l’ha (ri)raccontata in italiano, cari lettori? E quei personaggi, chi ve li ha descritti nella vostra lingua? E allora, la prossima volta che leggete un libro in traduzione, date un’occhiata anche a pagina 3, soffermatevi un attimo su quel nome scritto in piccolo sotto il titolo. Perché se il testo scorre lieve, se le battute sono divertenti, se i giochi di parole vi fanno sorridere, è (anche) merito del traduttore.

E il mio esordio… Beh, quello magari ve lo racconto un’altra volta.

Emanuela Cavallaro – traduttrice

 

la sua ultima fatica come traduttrice di libri:

 

Ospiti estranei, Verena Stefan, Luciana Tufani

Ispirata da un bizzarro termine del linguaggio burocratico svizzero, l’autrice tesse una trama che si dipana tra due continenti e tra due generazioni. Ospite estraneo è stato il padre, tedesco trasferitosi in Svizzera dopo la guerra e rimasto sempre “lo straniero”, tollerato ma non benvenuto. E ospite estranea si sente nonostante tutto anche la figlia, emigrata a sua volta dall’Europa al Canada, seppure in un’epoca e in condizioni totalmente diverse. All’iniziale disorientamento dovuto alla nuova vita in un altro paese, si aggiunge poi la scoperta di un ospite estraneo nel proprio corpo.

 

 

Emanuela Cavallaro è nata a Bologna nel 1970. Ha studiato Lingue e Letterature Straniere all’Università di Bologna e alla Ruhr-Universität di Bochum, specializzandosi in Germanistica.Alterna l’attività di traduzione con l’insegnamento dell’Italiano, per cui ha anche co-redatto alcuni libri di testo. Per Luciana Tufani ha tradotto Simona Ryser, Ruth Schweikert, Friederike Kretzen e Aglaja Veteranyi.

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È tornato in Svizzera il nonno “argentino” di Klaus Merz. La sua esperienza è raccontata con affetto dalla nipote, gli anni trascorsi nella pampa, sempre pensando alla ragazza amata rimasta in patria, e quelli del ritorno, con la sua scelta di dedicarsi con passione all’educazione (raccoglierà anche fondi per creare una biblioteca pubblica!). Chi era “l’argentino”? Come mai si era lanciato con tanto slancio nel tango, per poi dimenticarlo per sempre in Svizzera? Perché usava con tanta precisione le fotografie durante gli anni dell’insegnamento? Un libro delicato e poetico, con personaggi reali e desiderosi di vivere, ritratti ottimamente con leggerezza.  E con una sorpresa finale!

 

Klaus Merz, L’argentino, Casagrande

Alla classica rimpatriata con i vecchi compagni di scuola, Lena si trova a raccontare, prima a tutti e poi a un amico in particolare, la storia del nonno morto da poco. La rievocazione vivida ma delicata dell’«argentino» – così era soprannominato l’eccentrico maestro elementare – ci restituisce la storia di un giovane che, partito per la pampa alla ricerca dell’avventura nel vasto mondo, due anni dopo fa ritorno alla certezza del suo primo amore, mentre il segreto di un’altra donna lo accompagnerà per tutta la vita, custodito gelosamente insieme al mistero del tango. Ed è proprio in un finale a passo di danza che il racconto di Lena arriverà a suggellare il suo legame con il nonno e a intrecciare passato e presente nella nascita di un nuovo amore.

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Il concetto di giustizia, osservato nel contesto piccolo borghese della società svizzera. Il tema centrale dell’opera di Durrematt è perfettamente reso in questo affascinante e coinvolgente libro che Adelphi propone in nuova edizione, dopo quella di Marcos Y marcos di qualche anno fa. Un libro da non perdere, per la capacità di rendere al lettore le trame segrete, l’avidità e la grettezza, l’arroganza e l’impunità del potere, le segrete e impalpabili strade della giustizia umana… Tutto parte con un apparente rovesciamento del concetto di noir: un omicidio, commesso sotto gli occhi di decine di persone dall’assassino, presto condotto in prigione: che ingaggia però un legale per dimostrare la sua innocenza….

Friedrich Durrematt, Giustizia, Adelphi
Tutta giocata di sponda è la partita di biliardo (umano) su cui si impernia questo romanzo giallo: o meglio “antipoliziesco”, giacché sin dall’inizio ci esibisce l’assassino. La prima palla a finire in buca, per un colpo a la bande, è la testa calva del professor Winter, esimio germanista: centrato dai proiettili dello squisito consigliere cantonale Kohler, cade con la faccia nel piatto di tournedos Rossini che stava gustando nel ristorante Du théâtre. Quindi, a una a una, rotoleranno in buca le altre palle – un playboy, una squillo d’alto bordo, una perfida nana, un protettore -, delineando un autentico rompicapo: “II comandante era disperato. Un omicidio senza motivo per lui non era un delitto contro la morale, bensì contro la logica”. Kohler, poi, in galera è l’uomo più felice del mondo: trova giusta la pena, meravigliosi i carcerieri, e intreccia serafico ceste di vimini. Ha un unico desiderio: che l’avvocato Spät, squattrinato difensore di prostitute, si dedichi finalmente a un’impresa seria (ma a lui sembrerà pazzesca) e riesamini il caso partendo dall’ipotesi che non sia Kohler l’omicida: “Deve solo montare una finzione. Come apparirebbe la realtà, se l’assassino non fossi io ma un altro? Chi sarebbe quest’altro?”. Accettata la sfida, Spät precipiterà ben presto in un gorgo, in una surreale commedia umana e filosofica che tiene tutti – lettori in primis – col fiato sospeso: per quale ragione Kohler è di umore tanto allegro? E perché mai ha ucciso Winter?

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Swiss Writer Martin Suter

Image via Wikipedia

Una trama efficace, lo stile preciso, la capacità di ritrarre con efficacia la psicologia dei personaggi, e del mondo a cui appartengono. In più le suggestioni del noir, del romanzo sociologico, uno sguardo lucido ad una terribile malattia, l’alzheimer che colpisce il protagonista del libro: l’incendio che scatenerà per cause banali nelle pagine iniziali ne è forse il primo sintomo. Com’è piccolo il mondo è stata la prima opera di Martin Suter, ma la stoffa del narratore era già delineata! Un libro ottimo, e ci auguriamo che presto Sellerio ci rallegri con altri suoi titoli!

 

Martin Suter, Com’è piccolo il mondo, Sellerio

 

Da quando a sei anni la madre l’aveva abbandonato, Konrad Lang, detto Ko-ni, era stato il giocattolo di Thomas (Tomi) Koch. E da giocattolo Koni era cresciuto, burattino senza energia propria legato ai fili dei potenti Koch, famiglia di magnati svizzeri dell’industria e della finanza. Se Tomi lasciava il Liceo a causa della sua inadeguatezza, anche Koni doveva seguirlo nel collegio per ricchi svogliati, malgrado lui non incontrasse nessuna difficoltà nello studio. Se Tomi stentava alle lezioni di piano, Koni impressionava il maestro con il suo talento che però non poteva sviluppare. Finché erano da soli, Tomi si comportava da amico, ma appena compariva qualcuno su cui voleva far colpo, ecco che Koni tornava “il figlio di una nostra ex domestica che mia madre aiuta”. Col tempo, poi, ogni talento e i minimi affetti erano appassiti, e del piccolo Koni rimaneva il sessantenne di eleganza perfetta, mite e amabile ma capace solo di ubriacarsi e fare guai. Un mantenuto malsopportato, che l’ottantenne matriarca dei Koch tiene a distanza con un povero vitalizio purché stia fuori dai piedi: Elvira Senn, vedova del fondatore, matrigna di Thomas e nonna dell’erede Urs, la gran dama della finanza, che tiene nel pugno di ferro tutto il clan, gli ha rubato la vita eppure sembra avere con Koni un conto in sospeso da fargli pagare a suon di umiliazioni gratuite. Da un momento all’altro Koni si innamora e inaspettatamente smette di bere. La vita sembra finalmente si sia decisa a sorridergli, ma invece non ha finito di giocare…

 

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RIPROPONIAMO IL NOSTRO COMMENTO PER L’ULTIMO DEI WEYNFELDT, il testo uscito nel 2010 sempre per Sellerio:

 

incuriosito da un libro che sembrava stuzzicante e un pò originale tra quelli usciti nella settimana (quella del 15 marzo), ho subito cominciato la lettura di questo testo: davvero molto piacevole ed intrigante, godibile. un abile mano quella di Martin Suter, capace di restituirci con arguzia il mondo della borghesia agiata svizzera

 

Martin Suter

L’ultimo dei Weynfeldt, Sellerio

 

«Epopea di un falsario» come è stato definito questo romanzo, ma anche un’insinuante, anticonformista riflessione narrativa sul falso nell’arte. Adrian, cinquantenne piacente, l’ultimo dei Weynfeldt, ha ricevuto in eredità dal padre un solido e vasto patrimonio, e dalla madre dei «danni educativi irreparabili»: così lui chiama la rigidezza dei modi, lo scrupoloso rispetto delle forme, il dominante impulso a compiacere, insomma una personalità e un comportamento che, in effetti, si ergono ineccepibili a barriera tra lui e gli altri, anche con chi varrebbe la pena di avere quale autentico e semplice amico. È in fondo la sua difesa dalla vita, la quale, senza mai maltrattarlo, mai lo ha davvero accarezzato. Artista senza genio, ha ripiegato nell’expertise di pittura per un’importante casa d’aste. Le sue giornate sono disciplinate dalla regola inflessibile che più sono uguali l’una all’altra, più il tempo rallenterà la sua corsa spietata. Naturalmente, la vita supera tutte le barriere. E infatti il destino gli presenta la giovane Lorena, una modella del tutto sregolata, che in più ricorda ad Adrian irresistibilmente il suo unico e tragico amore. Negli stessi giorni, un amico gli ha affidato per una vendita all’asta un quadro del pittore Félix Vallotton, dipinto dotato di un’affascinante, inusuale sensualità. Da questo momento, per caso e per necessità, il viaggio di Adrian attraverso l’esistenza cambia forma: da uguale routine dorata diventa una movimentata commedia di scambi, equivoci, suspense; e la distaccata, elegante rassegnazione si tramuta in una saporosissima vendetta del desiderio. Dapprima zimbello, il quieto esperto d’arte si scopre regista di una complessa cospirazione fortemente hitchcockiana. È la sua sfida alla vita. Martin Suter, è scrittore di sarcastiche commedie capaci di sorridere suadenti al lettore, (L’ultimo dei Weynfeldt è stato per settimane il più venduto in Germania). Il suo piglio è quello di strappare, pazientemente e metodicamente, ogni centimetro di superficie levigata alle prevalenti ipocrisie sociali (in questo del tutto interno alla graffiante tradizione letteraria svizzera che ha avuto in Dürrenmatt il suo apice poetico). Per lasciare in piedi, crollate quelle, solo un anarchico rimescolamento di bene, male e felicità.

 

Martin Suter (Zurigo, 1948) ha lavorato come sceneggiatore televisivo, come reporter e nel campo pubblicitario. Tra i suoi romanzi Com’è piccolo il mondo, Un amico perfetto e Lila, Lila.

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incuriosito da un libro che sembrava stuzzicante e un pò originale tra quelli usciti nella settimana (quella del 15 marzo), ho subito cominciato la lettura di questo testo: davvero molto piacevole ed intrigante, godibile. un abile mano quella di Martin Suter, capace di restituirci con arguzia il mondo della borghesia agiata svizzera

Martin Suter ,
L’ultimo dei Weynfeldt , Sellerio

«Degno seguace di Patricia Highsmith e Ruth Rendell, con cui condivide l’arte di rappresentare personaggi machiavellici e di imbastire gialli impeccabili, Martin Suter ci regala una commedia brillante ambientata nel mondo dell’arte» (Livres Hebdo, Parigi).
Traduzione di Cesare De Marchi

«Epopea di un falsario» come è stato definito questo romanzo, ma anche un’insinuante, anticonformista riflessione narrativa sul falso nell’arte. Adrian, cinquantenne piacente, l’ultimo dei Weynfeldt, ha ricevuto in eredità dal padre un solido e vasto patrimonio, e dalla madre dei «danni educativi irreparabili»: così lui chiama la rigidezza dei modi, lo scrupoloso rispetto delle forme, il dominante impulso a compiacere, insomma una personalità e un comportamento che, in effetti, si ergono ineccepibili a barriera tra lui e gli altri, anche con chi varrebbe la pena di avere quale autentico e semplice amico. È in fondo la sua difesa dalla vita, la quale, senza mai maltrattarlo, mai lo ha davvero accarezzato. Artista senza genio, ha ripiegato nell’expertise di pittura per un’importante casa d’aste. Le sue giornate sono disciplinate dalla regola inflessibile che più sono uguali l’una all’altra, più il tempo rallenterà la sua corsa spietata. Naturalmente, la vita supera tutte le barriere. E infatti il destino gli presenta la giovane Lorena, una modella del tutto sregolata, che in più ricorda ad Adrian irresistibilmente il suo unico e tragico amore. Negli stessi giorni, un amico gli ha affidato per una vendita all’asta un quadro del pittore Félix Vallotton, dipinto dotato di un’affascinante, inusuale sensualità. Da questo momento, per caso e per necessità, il viaggio di Adrian attraverso l’esistenza cambia forma: da uguale routine dorata diventa una movimentata commedia di scambi, equivoci, suspense; e la distaccata, elegante rassegnazione si tramuta in una saporosissima vendetta del desiderio. Dapprima zimbello, il quieto esperto d’arte si scopre regista di una complessa cospirazione fortemente hitchcockiana. È la sua sfida alla vita. Martin Suter, è scrittore di sarcastiche commedie capaci di sorridere suadenti al lettore, (L’ultimo dei Weynfeldt è stato per settimane il più venduto in Germania). Il suo piglio è quello di strappare, pazientemente e metodicamente, ogni centimetro di superficie levigata alle prevalenti ipocrisie sociali (in questo del tutto interno alla graffiante tradizione letteraria svizzera che ha avuto in Dürrenmatt il suo apice poetico). Per lasciare in piedi, crollate quelle, solo un anarchico rimescolamento di bene, male e felicità.

Martin Suter (Zurigo, 1948) ha lavorato come sceneggiatore televisivo, come reporter e nel campo pubblicitario. Tra i suoi romanzi Com’è piccolo il mondo, Un amico perfetto e Lila, Lila.

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