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“Mi han detto che la tua casa è dove sei tu. Ci ho provato ma non sempre ci riesco.”

Questa storia ha inizio nel 1948, quando gli inglesi, partendo da Israele, lasciarono due popoli in lotta: l’uno con tutto, l’altro con niente.

 

Palestina.Le case, i luoghi, gli edifici e anche le architetture abbandonate restituiscono il senso tragico della storia di quella martoriata terra. Il romanzo – reportage di Suad Amiry, romanziera ed architetto, non è pervaso da toni accusatori, dalla disperazione, ma lascia il segno!

 

Suad Amiry, Golda ha dormito qui, Feltrinelli

 

Di cosa è fatta la bellezza di una casa, se non della vita di chi la abita? Ma quando accade che un intero popolo si trovi all’improvviso espropriato delle sue dimore, la domanda che passa, amara, di bocca in bocca è soltanto una: che fine fa quella bellezza, e che fine fa l’anima di chi in quelle case, in quei palazzi, in quei giardini, ci ha vissuto, ci ha pianto e ci ha gioito, per una vita intera? Questa storia ha inizio nel 1948, quando gli inglesi, partendo da Israele, lasciarono due popoli in lotta: l’uno con tutto, l’altro con niente. Suad Amiry, palestinese, racconta quella perdita inestimabile, quella dei muri con dentro le anime, la memoria, i gesti, gli affetti. Muri a cui oggi, ai vecchi proprietari di sempre, è addirittura proibito avvicinarsi, è preclusa la vista, la memoria delle sensazioni. Come all’architetto Andoni, che vorrebbe tornare nell’abitazione che ha progettato e costruito, il “suo gioiello”, e scopre in tribunale di non poterlo fare in quanto “proprietario assente”; o come a Huda, che preferisce testardamente la cella alla condanna di non poter rientrare nella casa dei genitori. Insieme agli effetti di un conflitto storico che dura da allora, Suad Amiry, con profonda grazia e humour dissacrante, si confronta con un tema universale e potente com’è quello della casa, che finisce per coincidere con la nostra stessa identità, con la nostra stessa, comune, storia.

 

 

 

 

 

Suad Amiry (1951) è un’architetta palestinese, fondatrice e direttrice del Riwaq Center for Architectural Conservation a Ramallah. Cresciuta tra Amman, Damasco, Beirut e Il Cairo, ha studiato architettura all’American University di Beirut e all’Università del Michigan, specializzandosi infine a Edimburgo. Dal 1981 insegna Architettura alla Birzeit University e, da allora, vive a Ramallah. Ha scritto e curato numerosi volumi sui differenti aspetti dell’architettura palestinese. Amiry ha vinto il premio internazionale Viareggio Versilia nel 2004. Da Feltrinelli sono usciti i due volumi Sharon e mia suocera (2003) e Se questa è vita (2005), poi ripubblicati assieme in “Universale Economica” (2007), Niente sesso in città (2007), Murad Murad (2009) e Golda ha dormito qui (2013).

 

 

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due amici, entrambi israeliani, un ebreo obiettore di coscienza nei confronti del servizio militare, l’altro arabo ma disposto ad indossare la divisa per odio nei confronti della nonna che l’ha cresciuto… Li accomuna la mancanza della figura materna, morta nel caso di Saleem, in fuga dall’atmosfera del kibbutz per Avi: una ferita non rimarginata per entrambi, che li spinge a superare gli schemi che le due società impongono loro con un forte legame virile. Dal carcere in cui Avi è rinchiuso per il suo rifiuto del servizio militare, Avi ricorda i fatti avvenuti, fino alla tragica morte dell’amico, e alla disperata richiesta della moglie..

 

Un libro delicato e forte al tempo stesso, ottima prosa e temi forti, da una autrice esordiente dalle grandi capacità: ci sono editori come Nutrimenti che meritano la tripla AAA!

 

Emma McEvoy,

Nella terra di nessuno,

Nutrimenti editore

Traduzione di Dora Di Marco

Avi e Saleem sono entrambi israeliani, uno è ebreo, l’altro arabo. I due si sono conosciuti per caso, e per caso sono diventati amici. Ma la loro amicizia è qualcosa che nessuno può capire, privata, quasi segreta. Entrambi hanno perso la madre da bambini, Avi abbandonato, Saleem orfano, entrambi sono vittime dei rimpianti e dei rancori dei loro familiari, sono tenuti sotto scacco l’uno dal fervore del padre, convinto sostenitore della vita del kibbutz, l’altro dall’odio e dalle rivendicazioni della nonna, profondamente ferita dalla vita. E mentre Saleem ha deciso di vestire la divisa dell’esercito israeliano – lui che, come arabo, non è obbligato – Avi sceglierà infine l’obiezione di coscienza, scontando il suo rifiuto con la prigione.

Così, nel silenzio della cella, durante le notti insonni, alla luce di una candela, Avi scrive al suo amico, ucciso durante uno scontro mentre tentava di fermare un ragazzino pronto a tirare un sasso contro un soldato. Ogni settimana viene a trovarlo in carcere Sahar, la vedova di Saleem. La giovane ha una richiesta per Avi: che la sposi e la porti via da quella terra senza futuro.

In uno stile asciutto e vibrante, Emma McEvoy racconta il rimpianto e la perdita, e le contraddizioni di due comunità costrette a fronteggiarsi, dove rompere gli schemi comporta una frattura profonda e definitiva con le proprie radici e con una parte di sé.

Emma McEvoy

 

Emma McEvoy è nata a Dalkey, in Irlanda, nel 1973. Dopo aver studiato storia e scienze politiche all’Università di Dublino, si è trasferita in Israele, dove ha vissuto per otto anni in un kibbutz al confine con il Libano. Attualmente vive nel West Cork con il marito, i due figli e il cane Barkley. Nella terra di nessuno è il suo primo romanzo.

 

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