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CALENDARIO DELL’AVVENTO di Atlantide,un libro al giorno, un bel libro. Questo è uno dei nostri romanzi consigliati.
Mosca, anni Trenta.Un editoriale della Pravda, facilmente riconducibile al leader maximo, fa precipitare la carriere artistica e umana di Dimitri Sostakovic: ascesa e caduta perfettamente raccontata da Julian Barnes!

Julian Barnes, Il rumore del tempo, Einaudi

http://www.einaudi.it/…/ju…/il-rumore-del-tempo/978885842371

Dmitrij Sostakovic ha gia riscosso successi in patria e in mezzo mondo quando il compagno Stalin in persona emette l’inappellabile condanna: la sua non è musica, è solo caos. Da quel momento la vita del «nemico del popolo» Sostakovic non è che una foglia al vento, e la sua anima assediata dalla paura, il campo di battaglia fra codardia ed eroismo. Nella speranza che la sua arte sappia resistere al rumore del tempo.

La mattina del 29 gennaio 1936 la terza pagina della «Pravda» commentava la recente esecuzione al Bol’soj della Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Sostakovic titolando Caos anziché musica e accusando l’opera di accarezzare «il gusto morboso del pubblico borghese con una musica inquieta e nevrastenica». Non si trattava solo della recensione negativa capace di rovinare la giornata di un artista. Neppure della stroncatura in grado di distruggergli la carriera. Nell’Età del terrore del compagno Stalin un editoriale del genere, e il conseguente stigma di nemico del popolo, poteva interrompere la vita stessa. E dunque puntuale, per il celebre Sostakovic, giunge il primo di una serie di colloqui con il Potere. È una trappola senza vie d’uscita, quella che gli si tende – piegarsi alla delazione o soccombere -, e Sostakovic si dispone all’attesa dell’ineluttabile. Al calar della notte, per dieci notti consecutive, esce dall’appartamento che divide con la moglie Nita e la figlioletta Galja e si sistema accanto all’ascensore che presumibilmente portera i suoi aguzzini, meditando fino all’alba sul suo destino e quello del suo tempo. Ma le vie dei regimi sono imperscrutabili, l’interrogatore può facilmente trasformarsi in interrogato e il reprobo salvarsi, addirittura essere «perdonato». E dunque la musica di Sostakovic può tornare a circolare e il suo nome a rappresentare quello del suo paese nel mondo. Un abisso di paura e umiliazione parrebbe scampato, ma è proprio allora che il Potere alza la posta e impone una nuova resa. Una volta e un’altra ancora. Sostakovic è ormai vecchio e nauseato di compromessi quando apprende la sua ultima verità: che «essere un vigliacco non è facile. Molto più facile essere un eroe. A un eroe basta mostrarsi coraggioso per un istante: quando estrae la pistola, quando lancia la bomba, attiva il detonatore, fa fuori il tiranno e poi se stesso. Essere un vigliacco significa invece imbarcarsi in un’impresa che dura una vita. Richiede costanza, fermezza, impegno a non cambiare, il che si risolve in una certa qual forma di coraggio». Un coraggio minore e vergognoso, certo, al cospetto dei «facili» martiri di contemporanei come Osip Mandel’stam. Uno per sentire, uno per ricordare, uno per bere, recita un proverbio tradizionale. A Sostakovic tocca sentire, ogni suono una nota, e sperare che il rumore del tempo, ogni suo spaventoso bercio e untuoso bisbiglio, finisca per dissolversi consegnando ai posteri solo la musica di Dmitrij Dmitrievic Sostakovic. La sua musica e nient’altro.
tradotto da Susanna Basso

 

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La parabola umana di Sostakovic nel nuovo libro di Julian Barnes.
 
Julian Barnes, Il rumore del tempo, Einaudi
tradotto da Susanna Basso
 
http://www.einaudi.it/libri/libro/julian-barnes/il-rumore-del-tempo/978880623087Un capolavoro intenso che tratteggia la vita di un uomo attraverso la lotta della sua coscienza e della sua arte con le pretese impossibili del totalitarismo».
Alex Preston, «The Guardian»
 
«Una parabola di umana degradazione in cui la minaccia di una violenza non agíta grava su ogni pagina. L’orrore del labirinto kafkiano che prende vita».
Jeremy Denk, «The New York Times Book Review»
 
 
Dmitrij Sostakovic ha gia riscosso successi in patria e in mezzo mondo quando il compagno Stalin in persona emette l’inappellabile condanna: la sua non è musica, è solo caos. Da quel momento la vita del «nemico del popolo» Sostakovic non è che una foglia al vento, e la sua anima assediata dalla paura, il campo di battaglia fra codardia ed eroismo. Nella speranza che la sua arte sappia resistere al rumore del tempo.
 
La mattina del 29 gennaio 1936 la terza pagina della «Pravda» commentava la recente esecuzione al Bol’soj della Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Sostakovic titolando Caos anziche musica e accusando l’opera di accarezzare «il gusto morboso del pubblico borghese con una musica inquieta e nevrastenica». Non si trattava solo della recensione negativa capace di rovinare la giornata di un artista. Neppure della stroncatura in grado di distruggergli la carriera. Nell’Età del terrore del compagno Stalin un editoriale del genere, e il conseguente stigma di nemico del popolo, poteva interrompere la vita stessa. E dunque puntuale, per il celebre Sostakovic, giunge il primo di una serie di colloqui con il Potere. È una trappola senza vie d’uscita, quella che gli si tende – piegarsi alla delazione o soccombere -, e Sostakovic si dispone all’attesa dell’ineluttabile. Al calar della notte, per dieci notti consecutive, esce dall’appartamento che divide con la moglie Nita e la figlioletta Galja e si sistema accanto all’ascensore che presumibilmente portera i suoi aguzzini, meditando fino all’alba sul suo destino e quello del suo tempo. Ma le vie dei regimi sono imperscrutabili, l’interrogatore può facilmente trasformarsi in interrogato e il reprobo salvarsi, addirittura essere «perdonato». E dunque la musica di Sostakovic può tornare a circolare e il suo nome a rappresentare quello del suo paese nel mondo. Un abisso di paura e umiliazione parrebbe scampato, ma è proprio allora che il Potere alza la posta e impone una nuova resa. Una volta e un’altra ancora. Sostakovic è ormai vecchio e nauseato di compromessi quando apprende la sua ultima verità: che «essere un vigliacco non e facile. Molto più facile essere un eroe. A un eroe basta mostrarsi coraggioso per un istante: quando estrae la pistola, quando lancia la bomba, attiva il detonatore, fa fuori il tiranno e poi se stesso. Essere un vigliacco significa invece imbarcarsi in un’impresa che dura una vita. Richiede costanza, fermezza, impegno a non cambiare, il che si risolve in una certa qual forma di coraggio». Un coraggio minore e vergognoso, certo, al cospetto dei «facili» martiri di contemporanei come Osip Mandel’stam. Uno per sentire, uno per ricordare, uno per bere, recita un proverbio tradizionale. A Sostakovic tocca sentire, ogni suono una nota, e sperare che il rumore del tempo, ogni suo spaventoso bercio e untuoso bisbiglio, finisca per dissolversi consegnando ai posteri solo la musica di Dmitrij Dmitrievic Sostakovic. La sua musica e nient’altro.

http://www.gettyimages.com/detail/583676476
 

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Viene prima la guerra, o le parole per raccontarla?
Preceduta da una accorata introduzione di Anna Politkovskaja, stupita dalle forti parole d’accusa pronunciate dall’autrice alla Conferenza di Mosca sulla Cecenia, questa inchiesta realizzata sul campo, vivendo forti rischi, mostra con partecipazione le atrocità vissute dalle popolazioni cecene, viatico ad un ritorno alla fede islamica.

Un libro che lascia con il cuore in gola. Irena Brezna è una acclamata giornalista, fuggita in Svizzera dalla Cecoslovacchia comunista, esperienza narrata splendidamente nel romanzo Straniera ingrata.

 
 
 
LE LUPE DI SERNOVODSK, Irena Brežná, Keller editore
TRADUZIONE DAL TEDESCO ALICE RAMPINELLI
 
Viene prima la guerra, o le parole per raccontarla? Quando le nubi di un conflitto armato si addensano su una terra, il linguaggio è già pronto ad afferrarle? Un vocabolo sbagliato può segnare la condanna di un intero popolo? Irena Brežná, scrittrice e giornalista, se lo domanda di continuo, e ci costringe a percorrere al suo fianco i sentieri impervi del dubbio in questi reportage unici dalla Cecenia, piccola patria nel Caucaso del nord da sempre emblema di oscure minacce e apocalittiche sventure, abitata da un minuscolo popolo montanaro che per tre secoli ha aspirato all’indipendenza, contro ogni realismo. Con lei attraversiamo le due terribili guerre civili tra Mosca e Groznyj, scaturite dall’implosione dell’Unione Sovietica […] Al costo totale di almeno centosessantamila vittime. Fino alle soglie dell’oggi, col ritorno della Repubblica di fede islamica alla “matrigna” Russia, in una “pace” senza scampo». (L. Sgueglia)
 
Irena Brežna è nata nel 1950 in quella che un tempo era Cecoslovacchia e oggi Slovacchia ed è emigrata in Svizzera nel 1968 dove tuttora vive e lavora. Dopo gli studi di slavistica, filosofia e psicologia s’impegna nella mediazione interculturale e a favore dei diritti umani. Dal 1981 e scrittrice e giornalista. I suoi articoli, pubblicati in Svizzera, Germania e Repubblica Slovacca, hanno ricevuto numerosi riconoscimenti. Le sue opere letterarie affrontano principalmente i temi dell’esilio e della patria. Della stessa autrice, per i tipi della Keller editore, è uscito Straniera ingrata.

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Il premio Nobel Svetlana Aleksievic ne Gli ultimi testimoni ( Bompiani ) ci conduce ad incontrare lo sguardo di coloro che furono bambini durante gli anni dell’occupazione nazista in Bielorussia:
 
 
“Abbiamo subito capito, l’abbiamo subito percepito di essere gli ultimi. A conti fatti siamo gli ultimi testimoni. Il nostro tempo si sta esaurendo. E il dovere che abbiamo è quello di raccontare…”
 
Nell’estate del 1941 le truppe tedesche invadono la Bielorussia e occupano la capitale, Minsk. Gli eroi di questo libro sono bambini e ragazzi bielorussi che hanno vissuto la terribile quotidianità di quegli anni di guerra e sono cresciuti nell’orrore del più disumano dei conflitti. Pubblicato per la prima voltas nel 1985 e censurato dal regime sovietico, Gli ultimi testimoni compare oggi nella sua versione definitiva, per raccontarci una storia diversa da quella ufficiale, letta attraverso i ricordi e gli occhi innocenti dei più piccoli. Le loro parole, che per semplicità e immediatezza hanno una forza evocativa ancora più sconvolgente, cancellano ogni ideologia e modificano il nostro sguardo sul mondo.
Un bambino che è stato strappato alla sua famiglia e defraudato della sua infanzia resta ancora un bambino? Che interpretazione può dare della guerra, suo unico orrizonte di vita? Quali sono le immagini che più l’hanno segnato?
Sono questi gli interrogativi a cui il premio Nobel Svetlana Aleksievic cerca di dare risposta attraverso le sue interviste. Ma la conclusione è che non c’è azione attuata per il bene universale che possa giustificare anche “una sola lacrima di bambino”.
 
traduzione Cicognini C.
svetlana

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su questo libro siamo pronti a scommetterci! Qualità garantita!

Serena Vitale, Il defunto amava i pettegolezzi, Adelphi
in libreria da domani
Mosca, 14 aprile 1930. Intorno alle undici del mattino i telefoni si mettono a suonare tutti insieme, come indemoniati, diffondendo «l’oceanica notizia» del suicidio di Vladimir Majakovskij: uno sparo al cuore, che immediatamente trasporta il poeta nella costellazione delle giovani leggende. Per alcuni quella fine appare come un segno: è morta l’utopia rivoluzionaria. Ma c’è anche il coro dei filistei: si è ucciso perché aveva la sifilide; perché era oppresso dalle tasse; perché in questo modo i suoi libri andranno a ruba. E ci sono l’imbarazzo e l’irritazione della nomenklatura di fronte a quella «stupida, pusillanime morte», inconciliabile con la gioia di Stato. Ma che cosa succede davvero quella mattina nella minuscola stanza di una kommunalka dove Majakovskij è da poco arrivato in compagnia di una giovane e bellissima attrice, sua amante? Studiando con acribia e passione le testimonianze dei contemporanei, i giornali dell’epoca, i documenti riemersi dagli archivi dopo il 1991 (dai verbali degli interrogatori ai «pettegolezzi» raccolti da informatori della polizia politica), sfatando le varie, pittoresche congetture formulate nel tempo, Serena Vitale ha magistralmente ricostruito quello che ancora oggi è considerato, in Russia, uno dei grandi misteri – fu davvero suicidio? – dell’epoca sovietica. E regala al lettore un trascinante romanzo-indagine che è anche un fervido omaggio a Majakovskij, realizzazione del suo estremo desiderio: parlare ai posteri – e «ai secoli, alla storia, al creato» – in versi.

Vladimir Mayakovsky Square in Novokuznetsk (Ru...

Vladimir Mayakovsky Square in Novokuznetsk (Russia). (Photo credit: Wikipedia)

 

 

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Paul Dowswell ci sa fare con i romanzi storici. La Prima Guerra Mondiale, la DDR,la Germania nazista. Ora, ci conduce nel cupo universo degli anni dominati dal terrore staliniano, visti con gli occhi di un ragazzo figlio di uno stretto collaboratore del dittatore. L’inizio è folgorante, con l’agghiacciante scoperta dell’assenza della madre, al ritorno a casa del protagonista, quasi ancora bambino: destinata a sparire, condotta lontano dalla Polizia Segreta, con la condanna aggiuntiva di “dieci anni senza corrispondenza”, e scopriremo nel corso del libro cosa ciò rappresenti.

L’atmosfera di paura e sospetto, l’arroganza del potere e il terrore, la guerra incombente con la Germania, tutto ci viene reso alla perfezione, e non certo con tono puramente didascalico: Dowswell è anche un ottimo narratore, capace di costruire splendide e avvincenti storie.

 

Paul Dowswell, Tra le mura del Cremlino, Feltrinelli

 

Mikhail Petrov guardò le nubi grigie e rabbrividì. Quando attraversò il grande ponte sopra la Moscova, venne schiaffeggiato dal vento, che lo costrinse a stringersi il cappotto attorno al corpo magro. Cinque minuti dopo arrivò nel suo appartamento all’interno del Cremlino. “Mamma, sono tornato,” urlò appena mise piede nell’ingresso. Nessuno rispose.

 

Il libro

 

Ottobre 1940. Mikhail Petrov, detto Misha, ha 15 anni e una vita apparentemente fortunata: suo padre è segretario particolare di Stalin e la sua famiglia è stata trasferita all’interno del Cremlino. Ma nessuno può dirsi al sicuro neppure lì; infatti sua madre un giorno sparisce senza motivo e Misha sa che di questo non può parlare neanche con suo padre. I mesi passano e la vita di Misha continua: c’è la scuola e ci sono le attività del Komsomol (il gruppo dei giovani comunisti) ma l’atmosfera a Mosca, soprattutto tra le mura protette del Cremlino, diventa sempre più pesante: eliminazioni di persone influenti, confessioni estorte, paura diffusa e la voce ormai certa di un’invasione tedesca.

Quando a giugno l’esercito tedesco invaderà il territorio sovietico avanzando verso Mosca, per Misha e le persone attorno a lui la vita assumerà una piega drammatica.

 

Paul Dowswell ha lavorato a lungo nell’editoria prima di diventare scrittore. Per Bloomsbury ha pubblicato una trilogia storica ambientata nell’Inghilterra dell’Ottocento. Feltrinelli “Kids” ha pubblicato Ausländer (2010), Il ragazzo di Berlino (2012), L’ultima alba di guerra (2013) e Tra le mura del Cremlino (2014).

Emblem of the Komsomol

Emblem of the Komsomol (Photo credit: Wikipedia)

 

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Russia Protest

Russia Protest (Photo credit: FreedomHouse)

L’ultima favola russa è la storia della promesse di felicità perpetrate ai danni del popolo sovietico tra gli anni Cinquanta e Sessanta, promesse tristemente disertate dai fatti..

Personaggi reali e inventati, uno stile dai tratti ironici, un mosaico assolutamente gustoso raccontato con gran classe!

L’ultima favola russa, Francis Spufford, Bollati Boringhieri

 Trad. Prosperi C.

È con un punto di vista originalissimo, che Francis Spufford racconta la storia dell’Unione Sovietica tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Una serie di personaggi veri e inventati si muovono sullo sfondo di vicende storiche ben documentate per darci il quadro generale di un periodo intricato, spesso falsato dalla propaganda politica: la corsa dell'”economia pianificata” in gara con quella americana per il primato di ricchezza e progresso. Il racconto comincia con un personaggio reale, Leonid Kantorovic, matematico geniale, premio Nobel per l’economia: è il 1938, il giovane Leonid è a Mosca, in tram, pensa a come ottimizzare la produzione di compensato e… a come comperarsi un paio di scarpe nuove. Un altro personaggio ben noto, Nikita Krusciov, sta sorvolando l’Atlantico con un Tupolev, diretto per la prima volta negli Stati Uniti, quando si accorge che c’è il rischio di un incidente diplomatico già all’aeroporto di Washington… E poi le storie, tragiche, comiche, tragicomiche, di Emil, Galina, Fyodor, Zoya, personaggi “inventati ma veri”, che rappresentano la generazione stregata dalla promessa del “radioso avvenire”. Fino al 1968, quando Zoya viene espulsa dal laboratorio di ricerca di Akademgorok, sul mare di Ob’, per aver firmato una lettera di protesta pubblicata dal “New York Times”. L’autore racconta la storia di un’idea con un tono leggero, spesso ironico: il dramma di un popolo che crede nelle favole prende forma da solo, senza bisogno di enfasi o di scene tragiche.

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