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Posts Tagged ‘nuovi libri di poesia’

sono splendide le poesie di Vivian Lamarque. Questa volta con questo suo ultimo libro ritorna a cantare la figura materna, ad esplorare il rapporto con le due madri, quella biologica e quella adottiva:
 
 
Vivian Lamarque,
Madre d’inverno, Mondadori
 
Vivian Lamarque possiede una rarissima dote: quella di rendere lievi e trasparenti i temi e gli strappi dell’emozione più complessi e profondi. E di comunicarne le tracce e gli esiti con la grazia sottile della sua impeccabile petite musique. Ne aveva dato importanti prove nelle opere precedenti, da Teresino a Una quieta polvere (uscita esattamente vent’anni fa). E lo conferma in questo nuovo, attesissimo libro, dove già dal titolo, Madre d’inverno, indica il percorso centrale di una raccolta che riesce comunque a svilupparsi in varie direzioni. L’idea e la figura materna, dunque, vissuta nel trauma originario – accettato con sapienza eppure inguaribile, nel paradosso e nel dolore – della sua doppia immagine, quella della madre biologica e quella della madre adottiva. In uno scenario aperto e sofferto, fitto di elementi di una concretissima realtà quotidiana, dove si intessono frammenti di dialogo e schegge di parlato, si passa da una iniziale sequenza ospedaliera a una serie di sensibilissimi versi in cui si realizza una sorta di postumo colloquio con la figura materna. Rispetto alla quale il coinvolgimento del lettore scatta immediato poiché, partendo dalla propria esperienza personale, l’autrice mette a punto un vasto disegno in cui la madre diventa una forma assoluta, diventa l’emblema di tutte le madri. Nella mobile ricchezza di un’opera composta in un ampio arco di tempo, l’autrice si rivolge alle più svariate tracce della memoria, fino a introdurre, improvvisa, “l’altra madre”, quella biologica, insinuando, in un tono di assoluta normalità antiretorica – e perciò ancora più autentica –, un senso di pervasiva, interiore instabilità. Lamarque è per fortuna ben lontana dal chiudersi in un territorio tematico senza sbocchi, e infatti si apre a varie “avventure”, ad altre madri espressive, ad altri personaggi. Fino a coinvolgere l’esempio di Wisława Szymborska; fino a coinvolgere quella che definisce una sua «coinquilina poco prevedibile», e cioè la poesia stessa, di cui Vivian Lamarque, con la sua voce inconfondibile, si conferma una delle nostre espressioni più vive, originali e giustamente amate.
 
Ritratto con vela
 
Ci mancava anche il vento! Come quando in casa
la malchiusa finestra da sola si spalancava e
aria folate d’aria tende di vela, pol-mo-ni dicevi,
respiravi. Ora sulla tua fronte da secchi
rami in volo ferita, piano come bianca benda,
piano di platano plana una grande foglia.

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Al mattino, una miniera
si spalanca nella luce del cielo
e se guardo su, l’aperto
mi conduce verso una sponda
di eccelse volute. C’è pace allora
dentro questa carne. Bene si cuce
ciò che si vede con la parte mancante.
Le mie pagnotte si impastano di luce
e mangeremo.
Una nutrizione potente scuote
risveglia le mie arcate.
 
Mariangela Gualtieri, Le giovani parole, Einaudi
– in libreria da ieri. E ve lo consigliamo.
 

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English: A portrait of one of the the greatest...

Image via Wikipedia

 

Dal libro d’esordio del 1951, “Dietro il paesaggio”, fino al recentissimo “Conglomerati”, questo volume raccoglie l’intera produzione di Andrea Zanzotto, maestro della poesia italiana del secondo novecento. Il silenzio della natura e le violenze della storia, l’ordine e il disordine, la scienza, il sacro, i saperi umani: nella sua straordinaria parabola linguistica la poesia di Zanzotto attraversa i grandi interrogativi della società occidentale e li traduce in un messaggio di speranza e di lode alla realtà. L’analitica introduzione di Stefano Dal Bianco guida il lettore alla scoperta delle tappe fondamentali di questo percorso poetico. Un percorso a spirale: “Per quanto la curva si allarghi fino a comprendere l’universo mondo, ogni suo punto è in rapporto costante con l’origine, con un luogo – Pieve di Soligo – e con un libro – “Dietro il paesaggio””.

Fedor Tjutecev, Poesie, Adelphi

Appartenente a una famiglia dell’aristocrazia moscovita, Fèdor Ivanovic Tjutcev (1803-1873) fu diplomatico oltre che eminente poeta, e dopo aver iniziato la carriera nel Collegio degli Affari esteri di Pietroburgo operò come incaricato speciale a Monaco di Baviera – dove frequentò Heine, Schelling e gli ambienti del Romanticismo tedesco – e a Torino, dove visse dal 1837 al 1839. Nel 1836 alcune sue liriche furono pubblicate dalla rivista di Puskin “Il contemporaneo”, suscitando i primi, ampi consensi. Nel 1844 tornò definitivamente in Russia, mentre la sua fama di poeta cresceva dopo i riconoscimenti tributatigli da Turgenev, Fet, Dobroljubov. Il suo universo poetico è un coacervo di visioni cosmogoniche e di rappresentazioni metafisiche che rispecchiano un dualismo di tipo manicheo: vi sono due mondi, il Caos e il Cosmo, e il secondo altro non è se non l’organismo vivente della natura, un’essenza viva e pulsante ma secondaria rispetto al Caos, l’unica vera realtà, di cui il Cosmo rappresenta un’effimera scintilla. La cosmogonia di Tjutcev si nutre di contrasti tra inaccessibili vertici di perfezione e desolate lande nordiche o spaventosi abissi dominati dal disordine notturno e dall’instabilità spettrale del fato. A questo mondo che non conosce la gioia del possesso, ma solo la perdita, la caduta, il rimpianto, e insieme la vertigine del solitario destino umano, dà voce la versione di Tommaso Landolfi, scrittore affine a Tjutcev per sensibilità e magistero poetico.

Billy Collins, Balistica, Fazi

L’insistente abbaiare di un cane, un cappello appeso a un attaccapanni o un bonsai accanto a una tazza. Sono i momenti e gli oggetti della realtà più ordinaria a legare tra loro i testi di “Balistica”. È in tal senso, nella connotazione propriamente fisica della realtà, Collins utilizza un linguaggio piano, comune, con il ritmo della lingua parlata, senza enfasi o retorica, a volte comico e divertito, a volte ironico e commovente. Una poesia che vive dell’immaginazione che investe le cose, gli elementi della natura, rifuggendo ogni suggestione visionaria. Ne discende una scrittura “suburbana, domestica, che appartiene alla classe media, e senza alcuna vergogna”, come ha sottolineato lo stesso poeta, celebre per i reading con cui riempie i teatri statunitensi. Per l’alchimia che scaturisce da un’insolita capacità immaginifica e da una sorvegliata abilità nell’uso e nella disposizione delle parole, questa poetica apparentemente “quotidiana” ha conquistato il cuore di moltissimi lettori americani, facendo di Billy Collins un acclamato autore di bestseller, in un mercato ovunque poco generoso con la poesia.

Shiki Masaoka, Il mangiatore di cachi che ama gli haiku, La vita felice

Shiki ha spesso affermato che un grande maestro di haiku non scriveva durante la sua vita di poeta che duecento o trecento haiku autentici. Di quelli che sono portatori di un’intuizione profonda della realtà immediata ed evidente. Di quelli che ci permettono di sentire, di sondare l’indicibile profondità, di gustare il sottile sapore dell’esistenza umana, colta nell’eternità dell’istante presente. Di quelli che traducono, senza specificare, ma solamente suggerendo l’esperienza di distacco filosofico, poetico se si preferisce, dal mondo, quando tutto diventa semplice, luminoso, meravigliosamente evidente. Quando si percepisce, molto più che il senso, l’armonia delle cose, la loro impeccabile coincidenza. Sono proprio questi haiku che Shiki compose a essere raccolti in quest’opera.

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elitis

Il 2011 è stato proclamato dal Ministero della Cultura Greco “Anno Elitis” in occasione della riccorrenza dei cento anni dalla nascita del poeta premio Νobel, ed ecco una nuova versione di una delle sue migliori raccolte poetiche: E’ presto ancora

 

Quello che veramente ero

L’uno di molti secoli prima

Il non scisso dal cielo

Entrò dentro di me

Divenne quello che sono

 

 

Odisseas Elitis, E’ presto ancora, donzelli

Odisseas Elitis (1911-1996) ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Orientamenti, nel 1940. Nel 1943 esce Sole il Primo e nel 1945 Canto eroico e funebre per il sottotenente caduto in Albania, nato dall’esperienza della campagna di Albania contro Mussolini. Dopo un lungo periodo di silenzio e un soggiorno a Parigi, pubblica nel 1959 Dignum Est, forse la sua opera più significativa. Da allora Elitis non ha mai cessato di scrivere e pubblicare: dalla raccolta di saggi e prose Carte scoperte (1974) fino ai più recenti Elegie di Oxòpetra (1991), il secondo volume di saggi e prose In bianco (1992), A occidente del dolore (1995), Da presso (1998). Nel 1979 riceve il premio Nobel per la letteratura. Di Odisseas Elitis la Donzelli editore ha pubblicato Il metodo del dunque e altri saggi sul lavoro del poeta (1995, 2011), La materia leggera. Pittura e purezza nell’arte contemporanea (2005) e Monogramma nel mondo (2006), raccolta di traduzioni in otto lingue del poemetto Monogramma.

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circa trent’anni di produzione poetica hanno portato Umberto Piersanti a questa nuova, emozionante raccolta:

Umberto Piersanti, Tra alberi e vicende, Archinto
Allocati nel tempo breve e lungo della propria esistenza – a partire da una giovinezza folgorata dalle atmosfere culturali degli anni Sessanta sino ai tornanti politici degli anni Settanta, da cui si innerva un movimento di fuga verso dimensioni e luoghi avvertiti, inusualmente per allora, con un’angolazione soggettiva ed estetica, via via fino alle asperità della malattia e alla riscoperta delle proprie radici mitiche – i versi qui riuniti di Umberto Piersanti coprono l’arco di un trentennio restituendo l’immagine e il percorso di una poesia che, attraverso le sue molteplici scansioni e segmentazioni, sarebbe naturalmente pervenuta alla più recente trilogia einaudiana. Così trasportarsi dall’una all’altra raccolta assume il significato di passaggi e spostamenti di atmosfere dentro un ordine vitale. La poesia si fa insomma una necessità della vita e insieme sua condizione e misura. Nel dettato del poeta urbinate si osserva la costante iteratività di tre filoni primordiali: la dimensione esistenziale, una percezione intensa dei luoghi e di una natura colta in ogni sua fibra e moto, e insieme una visione della vita avvertita in un’unità di tempo assolutizzata dalla poesia.

Per un’estate degli anni ’60

Non era ad aprile questo vento intirizzito
lo spessore grigio degli spruzzi
i vicoli verdastri di pomeriggi
lenti, appiccicati sulle tele
e la pelle dell’estate ambrata
splendida per i soli artificiali
di notturne balere cerchiate
da una campagna ostinata
alle ferite di metalli lucidi
del cemento invetriato, all’insulto
di carte argentate, delle plastiche sparse
un’estate ormai languida, dissolta
in scroscio potente d’acqua.

Avevo saputo allora del surf
le moschee di calce di Marrakech
a luglio t’eri oscurato ad Agadir
il biondo aristocratico della pelle
a causa della sabbia e per il corallo
bluastro sotto le rupi di mare
quindi, prima della fine d’estate
senza ragione eri venuta
in queste mie piazze luminose
composte tra chiari palazzi
della Rinascenza e valli
d’Appennino zeppe di pievi.

Intatto di rupi e rocche
scendemmo per stradini nel Montefeltro
a piedi, i tuoi calzoni bianchi attillati
i primi così sexy dalla città
presagio d’altri decenni e differenti.
Era l’ultimo atto d’adolescenza
alla dolcezza scoperta delle membra
il centro della carne già pervenuto
nei languori umidi dei pomeriggi
una spossatezza adulta.

Le gocce frantumate nelle cole
il libro di Pavese sopra il letto
nell’albergo deserto erano i tuoi vestiti
splendidi e fitti come mai visti.

Jet-society era una parola sconosciuta
la sera che partivi da Fiumicino
un aeroporto di luci nel settembre. del Centro di Produzione del Materiale didattico della Federazione

-1972

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