«Leto non si sente né male né bene: cammina dimentico, nel mattino, al centro di un orizzonte materiale che gli manda, in onde costanti, rumori, consistenze, luci, odori. È immerso in quell’orizzonte e al tempo stesso ne è il centro; se di colpo scomparisse, il centro cambierebbe di posto.»
Ai sommi basta una passeggiata tra due amici, in una Baires degli anni Sessanta, parlando degli echi di una festa alla quale nessuno dei due ha partecipato, per dare vita ad un libro sublime. Leto e Il Matematico diventano così due giganti della letteratura grazie alla prosa armoniosa e dotata di perfetto ritmo di Juan Josè Saer, scrittore argentino tra i grandissimi del continente, accostabile ad un altro gigante, Juan Carlos Onetti. E dal loro percorso lentamente l’universo si espande, ad abbracciare i loro pensieri prima, poi a presentare agli occhi del lettore l’intero mondo argentino, il cosmo, il senso dei ricordi e della realtà, con uno sguardo preciso e cristallino.
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Glossa ,Juan José Saer, Traduttore: Gina Maneri
La nuova frontiera editore
«Leto non si sente né male né bene: cammina dimentico, nel mattino, al centro di un orizzonte materiale che gli manda, in onde costanti, rumori, consistenze, luci, odori. È immerso in quell’orizzonte e al tempo stesso ne è il centro; se di colpo scomparisse, il centro cambierebbe di posto.»
Leto e il Matematico si incontrano una mattina per strada. Il primo si è appena trasferito in città dove lavora come contabile. Il secondo viene da una famiglia dell’alta borghesia cittadina ed è appena tornato da un viaggio di studio in Europa. Decidono di fare un pezzo di strada insieme parlando della festa del poeta Washington Noriega, festa alla quale nessuno dei due ha partecipato.
A partire da un pretesto così semplice Saer costruisce una macchina letteraria perfetta, capace di insinuare il dubbio su tutto ciò che crediamo di vivere e percepire. Il lettore vede il romanzo dispiegarsi liberamente sotto i suoi occhi, come se si scrivesse da solo. Vede la coscienza dei protagonisti esitare e i loro ricordi ingannarli mentre si accumulano, passo dopo passo, parole non dette, angosce e disillusioni.
Cosa sono i ricordi, il tempo, la realtà e come li raccontiamo sono i temi dell’opera più filosofica di Saer, che è, allo stesso tempo, il commovente racconto della generazione perduta di un paese, l’Argentina, che proprio in quegli anni viveva il suo periodo più buio.
Juan José Saer, nato in Argentina nel 1937, è stato il principale scrittore della generazione successiva a quella di Borges. Nel 1968 si trasferisce a Parigi e inizia a insegnare letteratura ispanoamericana all’Università di Rennes. La sua vasta opera narrativa comprende dodici romanzi, cinque libri di racconti, uno di poesia e vari saggi. Nel 1987 ha vinto il Premio Nadal, a cui si sono aggiunti altri prestigiosi riconoscimenti come il premio France Culture, e il premio Unione Latina di Letterature Romanze. Morì a Parigi nel 2005.