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Posts Tagged ‘recensioni di thriller’

Un esordio notevole, un thriller ambientato nella Sierra Leone tra segreti inquietanti e un passato di certo non limpido
Paul Harris, il silenzio degli angeli, Piemme
Dopo mesi trascorsi a occuparsi di piccole storie di cronaca locale, a Danny Kellerman, giovane e ambizioso giornalista inglese, viene offerta un’occasione irrinunciabile: diventare il corrispondente del suo giornale durante il conflitto in Sierra Leone. La vita a Freetown, una città dilaniata dalla guerra, non è certo facile, ma Danny adora quel lavoro, e poi da qualche settimana ha iniziato a frequentare Maria, un’americana che gestisce un orfanotrofio per ex bambini soldato. Nella loro storia, però, si insinua un atroce sospetto: Danny, infatti, è convinto che la donna gli nasconda qualcosa sul suo passato. Così, dopo l’ennesima lite, Danny decide di lasciarsi alle spalle le bugie di Maria e le atrocità della guerra.

Quattro anni dopo, la sua vita è molto cambiata: c’è un’altra donna ora, un’altra casa, a Londra, e le infuocate giornate africane non sono che un vago ricordo. Quando, però, trova nella posta una lettera di Maria, che gli confida di essere in grave pericolo, Danny mette da parte l’orgoglio e comincia a cercarla. Ma è troppo tardi: Maria è rimasta uccisa durante una sparatoria. Così Danny decide di tornare sui suoi passi, a Freetown, dove tutto è cominciato. La città è diversa da quella che aveva lasciato: la guerra è finita, la corruzione si sta mangiando ogni risorsa e la verità che Danny sta cercando è avvolta in una fitta coltre di nebbia. Solo grazie all’aiuto di qualche vecchio contatto scoprirà che Maria era ben diversa dalla donna che ha amato per anni e che dietro di lei si celano segreti inquietanti.

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Un pizzico di mistero, un po’ di sovrannaturale, e qualche spruzzata di gotico, il tutto presentato in forma di “mother suspense”. Cosa ci può essere di più angosciante per una madre che notare strani comportamenti nella piccola figlia: non la chiama mai mamma, ha una paura ossessiva dell’acqua, disegna una casa che chiama “sua” che non è quella in cui abita con la madre. Un thriller particolare capace di tener desta l’attenzione del lettore.

LE VOCI DI MIA FIGLIA, MARGARET LEROY, FANUCCI

Grace ha una figlia di quattro anni, Sylvie, avuta da una relazione con un affascinante quarantenne quando aveva appena diciotto anni, e ora è seriamente preoccupata per ciò che osserva in lei. Sylvie ha incubi che la perseguitano, prova un puro terrore per l’acqua, aggredisce gli altri bambini senza un motivo apparente, e ha una strana fissazione per una foto di un villaggio di pescatori trovata per caso su una rivista che tiene accanto al suo letto e che si ostina a chiamare ‘casa’. Cosa c’è che non va in Sylvie?
Superando i pregiudizi di amici e conoscenti, la sua solitudine e l’indifferenza del padre della bambina, Grace si troverà ad affrontare il mistero che si cela dietro il comportamento di sua figlia, finendo per scoprire una verità davvero difficile da credere e rischiando di mettere in pericolo l’unica cosa che conta veramente nella sua vita: l’amore per Sylvie.

La scrittura di Margaret Leroy è come un sogno. ”

Tony Parsons

Lo straordinario romanzo di Margaret Leroy. un’opera di grande sensibilità e originalità in cui vita presente e passata si itrecciano in modo sorprendente. Un grande successo internazionale.”
Margaret Leroy, dopo aver provato lavori di ogni genere, e con alle spalle un matrimonio fallito, si è specializzata nell’assistenza sociale per bambini. Dopo aver incontrato il suo secondo marito, con il quale ha avuto una figlia, ha lasciato il lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.

il sito dell’autrice: www.margaretleroy.com

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un’indagine su un caso di omicidio consente a Andrej Longo, che ricordiamo con piacere per DIECI, di farci entrare nei salotti felpati della borghesia napoletana, dopo averci raccontato i vicoli dei quartieri popolari e le periferie della città. Lo fa attraverso una voce narrante che dona originalità all’indagine, quella di un poliziotto molto napoletano che si trova faccia a faccia con un caso di omicidio, in cui la vittima è una giovane quasi coetanea. Un libro pubblicato ora che nasce da un lavoro teatrale presentato anni fa dall’autore, premiato al Festival del Monodramma di Montecastello di Vibio con questa motivazione “perché prendendo spunto da un fatto di cronaca ha saputo mettere in risalto la drammaticità, la tensione narrativa e gli aspetti etici sul disagio della società contemporanea. La Giuria ha apprezzato la fantasia con cui l’autore ha dato corpo al personaggio del giovane poliziotto.”

Andrej Longo, Chi ha ucciso Sarah?, Adelphi

Un pomeriggio di agosto, verso la metà degli anni Novanta. Nel silenzio immobile della controra, una voce chiede aiuto. Una volta, due volte, dieci volte il grido risuona nell’androne ombroso di una elegante palazzina di Posillipo. Poi il silenzio, di nuovo, avvolge la strada. Nessuna porta si è aperta, nessuno degli inquilini ha risposto all’appello della ragazza. In quell’androne la troverà, morta, un giovane poliziotto, uno che viene da un quartiere che sembra appartenere a un altro mondo, nella periferia orientale della città. È la prima volta che vede un cadavere – e quella ragazza potrebbe avere la sua età. Nel vuoto sospeso di una Napoli dove chi può permetterselo è partito per le vacanze, e chi non può aspetta Ferragosto per andare a passare una giornata a Ischia o a Procida, il giovane poliziotto si intestardisce a chiedersi chi era quella sua coetanea che sembrava così normale, chi ha potuto ammazzarla, e perché. Interrogherà i vicini, rintraccerà gli uomini che l’hanno amata. Scoprire la verità (tanto imprevedibile quanto inquietante) lo indurrà a guardare con meno candore, e a giudicare con meno benevolenza, quella parte della città i cui abitanti, pur non essendo né camorristi né spacciatori né tossici – ma liberi professionisti, intellettuali, “gente perbene”, insomma -, hanno anch’essi i loro ignobili segreti, le loro viltà nascoste.

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James Sallis è un vero e proprio poeta del noir, con la sua prosa solida e lirica allo stesso tempo, capace come pochi di raccontare i misteri dell’animo umano. E ancora una volta fa centro con questo IL BOSCO MORTO, proposto dall’editore Giano, su cui svetta la figura del silenzioso Turner, alle prese con i fantasmi che si trascina dentro.

Il bosco morto, di James Sallis

Turner è un veterano del Vietnam, ex agente di polizia, ex detenuto, una laurea in psicologia ottenuta dietro le sbarre. Un uomo che, uscito dal carcere ha deciso di lasciarsi alle spalle tutte le sue passate esistenze per rifugiarsi in una capanna nei boschi che circondano una sperduta cittadina rurale del Tennessee. Un uomo che trascorre le sue giornate nel tentativo e nella speranza di farsi dimenticare dal mondo. Un uomo misterioso e sconosciuto, a se stesso e agli altri, oppresso da un fardello inconfessabile che, un pezzo alla volta, deve essere riportato in superficie per essere esorcizzato.

Un giorno riceve la visita dello sceriffo del luogo, in cerca di aiuto nel tentativo di risolvere l’assurdo e rituale omicidio di un vagabondo. Lo sceriffo si presenta con una bottiglia del miglior Bourbon e riesce a indurre Turner a uscire dal suo volontario isolamento.

Qual è la ragione che spinge uno sceriffo in carica a chiedere il parere di un ex poliziotto che ha scontato undici anni di galera? Qual è il segreto di Turner? Chi si nasconde dietro quel misterioso omicidio? Come tutti i personaggi di Sallis, Turner non è un detective di maniera. È un duro ma prima di tutto un libero pensatore, un ruvido solitario che annichilisce di “amore e deferenza” al cospetto di un vecchio banjo o di un bosco di cipressi.

Romanzo di impressionante forza, Il bosco morto, apparso tempo fa in Italia col titolo Cypress Grove Blues è un noir classico che indaga i grandi temi della condizione umana; un romanzo dove risuona la voce, ormai matura e sempre riconoscibile, di uno dei maggiori scrittori americani di oggi.

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Anche in questo caso, come nei precedenti, e’ la Cuba decadente del detective Mario Conde la protagonista del nuovo libro di Leonardo Padura Fuentes. Sono trascorsi quattordici anni da quando Conde si è dimesso dalla polizia. Nel frattempo Cuba è cambiata e l’ex detective, ora con più anni e sempre malinconico , si guadagna da vivere facendo il libraio, con la compravendita di libri usati. Questa volta lo sfondo è la moderna Avana, ritratta con disincanto nelle sue contraddizioni, fra il fascino dei vecchi edifici e le nuove regole dettate dalla malavita; parallelamente Padura Fuentes dona vita con leggerezza alla dolce vita dei locali notturni degli anni Cinquanta, negli ultimi anni di Batista, tornandovi con la memoria. Un raffinato noir d’autore, un trascinante viaggio nell’essenza dell’isola.

Leonardo Padura Fuentes, La nebbia del passato, Marco Tropea editore

L’Avana, estate del 2003. Sono trascorsi quattordici anni da quando il tenente Mario Conde, deluso dalla professione e dalla vita, si era dimesso dalla polizia. In questo periodo Cuba ha assistito a molti cambiamenti, e Mario Conde, con più anni e più cicatrici sulla pelle e nel cuore, si guadagna da vivere dedicandosi alla compravendita di libri usati. Il ritrovamento fortuito di una preziosa biblioteca lo mette nelle condizioni di concludere un affare per lui grandioso, in grado di sistemare, almeno per qualche tempo, le sue finanze sempre sull’orlo del tracollo. Ma, in un volume di questa biblioteca, appare la pagina di una rivista dove una cantante di bolero degli anni Cinquanta, Violeta del Rio, all’apice della carriera annuncia il suo ritiro dalla scene. Attratto dalla bellezza della donna e incuriosito da questa decisione misteriosa, Conde inizia a indagare per proprio conto, senza prevedere che risveglierà un passato turbolento che, come la favolosa biblioteca, è rimasto nell’ombra per più di quarant’anni.

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