circa trent’anni di produzione poetica hanno portato Umberto Piersanti a questa nuova, emozionante raccolta:
Umberto Piersanti, Tra alberi e vicende, Archinto
Allocati nel tempo breve e lungo della propria esistenza – a partire da una giovinezza folgorata dalle atmosfere culturali degli anni Sessanta sino ai tornanti politici degli anni Settanta, da cui si innerva un movimento di fuga verso dimensioni e luoghi avvertiti, inusualmente per allora, con un’angolazione soggettiva ed estetica, via via fino alle asperità della malattia e alla riscoperta delle proprie radici mitiche – i versi qui riuniti di Umberto Piersanti coprono l’arco di un trentennio restituendo l’immagine e il percorso di una poesia che, attraverso le sue molteplici scansioni e segmentazioni, sarebbe naturalmente pervenuta alla più recente trilogia einaudiana. Così trasportarsi dall’una all’altra raccolta assume il significato di passaggi e spostamenti di atmosfere dentro un ordine vitale. La poesia si fa insomma una necessità della vita e insieme sua condizione e misura. Nel dettato del poeta urbinate si osserva la costante iteratività di tre filoni primordiali: la dimensione esistenziale, una percezione intensa dei luoghi e di una natura colta in ogni sua fibra e moto, e insieme una visione della vita avvertita in un’unità di tempo assolutizzata dalla poesia.
Per un’estate degli anni ’60
Non era ad aprile questo vento intirizzito
lo spessore grigio degli spruzzi
i vicoli verdastri di pomeriggi
lenti, appiccicati sulle tele
e la pelle dell’estate ambrata
splendida per i soli artificiali
di notturne balere cerchiate
da una campagna ostinata
alle ferite di metalli lucidi
del cemento invetriato, all’insulto
di carte argentate, delle plastiche sparse
un’estate ormai languida, dissolta
in scroscio potente d’acqua.
Avevo saputo allora del surf
le moschee di calce di Marrakech
a luglio t’eri oscurato ad Agadir
il biondo aristocratico della pelle
a causa della sabbia e per il corallo
bluastro sotto le rupi di mare
quindi, prima della fine d’estate
senza ragione eri venuta
in queste mie piazze luminose
composte tra chiari palazzi
della Rinascenza e valli
d’Appennino zeppe di pievi.
Intatto di rupi e rocche
scendemmo per stradini nel Montefeltro
a piedi, i tuoi calzoni bianchi attillati
i primi così sexy dalla città
presagio d’altri decenni e differenti.
Era l’ultimo atto d’adolescenza
alla dolcezza scoperta delle membra
il centro della carne già pervenuto
nei languori umidi dei pomeriggi
una spossatezza adulta.
Le gocce frantumate nelle cole
il libro di Pavese sopra il letto
nell’albergo deserto erano i tuoi vestiti
splendidi e fitti come mai visti.
Jet-society era una parola sconosciuta
la sera che partivi da Fiumicino
un aeroporto di luci nel settembre. del Centro di Produzione del Materiale didattico della Federazione
-1972
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