un’indagine su un caso di omicidio consente a Andrej Longo, che ricordiamo con piacere per DIECI, di farci entrare nei salotti felpati della borghesia napoletana, dopo averci raccontato i vicoli dei quartieri popolari e le periferie della città. Lo fa attraverso una voce narrante che dona originalità all’indagine, quella di un poliziotto molto napoletano che si trova faccia a faccia con un caso di omicidio, in cui la vittima è una giovane quasi coetanea. Un libro pubblicato ora che nasce da un lavoro teatrale presentato anni fa dall’autore, premiato al Festival del Monodramma di Montecastello di Vibio con questa motivazione “perché prendendo spunto da un fatto di cronaca ha saputo mettere in risalto la drammaticità, la tensione narrativa e gli aspetti etici sul disagio della società contemporanea. La Giuria ha apprezzato la fantasia con cui l’autore ha dato corpo al personaggio del giovane poliziotto.”
Andrej Longo, Chi ha ucciso Sarah?, Adelphi
Un pomeriggio di agosto, verso la metà degli anni Novanta. Nel silenzio immobile della controra, una voce chiede aiuto. Una volta, due volte, dieci volte il grido risuona nell’androne ombroso di una elegante palazzina di Posillipo. Poi il silenzio, di nuovo, avvolge la strada. Nessuna porta si è aperta, nessuno degli inquilini ha risposto all’appello della ragazza. In quell’androne la troverà, morta, un giovane poliziotto, uno che viene da un quartiere che sembra appartenere a un altro mondo, nella periferia orientale della città. È la prima volta che vede un cadavere – e quella ragazza potrebbe avere la sua età. Nel vuoto sospeso di una Napoli dove chi può permetterselo è partito per le vacanze, e chi non può aspetta Ferragosto per andare a passare una giornata a Ischia o a Procida, il giovane poliziotto si intestardisce a chiedersi chi era quella sua coetanea che sembrava così normale, chi ha potuto ammazzarla, e perché. Interrogherà i vicini, rintraccerà gli uomini che l’hanno amata. Scoprire la verità (tanto imprevedibile quanto inquietante) lo indurrà a guardare con meno candore, e a giudicare con meno benevolenza, quella parte della città i cui abitanti, pur non essendo né camorristi né spacciatori né tossici – ma liberi professionisti, intellettuali, “gente perbene”, insomma -, hanno anch’essi i loro ignobili segreti, le loro viltà nascoste.
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